La camorra di “Gomorra”

Non sono un napoletanista, anzi mi rammarico da sempre di non conoscere come vorrei la lingua di Eduardo. Mi sono imposto di guardare la prime puntate di Gomorra, pubblicizzate ossessivamente da Sky, soprattutto per antico e gratificante affetto per Cristina Donadio, artista di straordinario fascino. Se non rimpiango il tempo dedicato all’ascolto della fiction lo devo a lei, al top della maturità di attrice che le ha consentito di identificarsi in un personaggio così lontano dal suo stile di vita, dalla sua storia professionale.

Dubbi sullo sceneggiato ne ho molti e il primo risponde alla domanda “Ma quanti italiani capiscono il napoletano di Gomorra?” La lingua del ghetto dove agisce la camorra è una degenerazione gergale, una serie di suoni e di inflessioni difficili da decifrare oltre i confini di Scampia. Si capisce, i sottotitoli in italiano avrebbero distolto l’attenzione da volti e azioni dei protagonisti, ma non capire i dialoghi dei protagonisti è un handicap evidente. Colti commentatori attribuiscono al verismo di Gomorra meriti pedagogici, obiettivi dissacranti, un potenziale esorcizzare il fenomeno malavitoso, ma ci si deve chiedere, per chi? Senza dubbio per quanti da posizioni sociali privilegiate si concedono il lusso di pontificare, convinti di relegare nell’inevitabile del nostro tempo il fenomeno delle marginalità sociali senza speranza di riscatto. Il genere di “Gomorra” innesca polemiche che contrappongono aspramente tifosi e denigratori. Gli uni discettano sull’efficacia salvifica della cruda rappresentazione del male, gli altri avanzano il dubbio che possa suggestionare giovani e giovanissimi delle periferie a rischio, che li induca a emulazione. Sono in contrasto anche le letture del fenomeno di ragazzini che giocano a “Gomorra”, difesi dalle madri (“E’ solo un passatempo”), indicati da molti come emuli precoci e potenziali eredi di camorristi, arruolabili nelle baby gang, fenomeno in preoccupante crescendo. Tema la legalità. Iincontro alunni di scuola media e una delle domande prova a indagare sul vissuto nel quartiere. Cinzia, dodici anni, sguardo spavaldo: “Vulesse pe’ ’nammurato nu boss” (scusate se il napoletano zoppica). La risposta, tradotta: “Voglio un compagno che mi protegga”. Chi esalta lo sceneggiato “Gomorra” obietta “Ma allora anche il film sugli assassini di Falcone e Borsellno potrebbe spingere la mafia a nuove stragi…”.

Non è difficile spiegare che il film in questione è una condanna esplicita della mafia e l’esaltazione del coraggio, della tenacia dei due magistrati nel perseguirla. Un terreno parallelo di analisi viene dagli Stati Uniti e dalla reiterazione di violenze su persone inermi di cui sono autori poliziotti, responsabili della morte di giovani neri. Nel breve volgere di mesi sono caduti sotto i colpi di pistole e fucili di agenti vittime innocenti, senza un perché e con modalità tra loro analoghe: solo un disgraziato succedersi di episodi casuali?

Nella foto Cristina Donadio in “Gomorra”

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