UNA PUBBLICITA’ INDECENTE

Perché indecente? Perché è tale quando si utilizza una bambina per fare uno spot pubblicitario, sfruttando tema sensibili che richiamano dolori individuali. Infatti, Emma è quella bimba dal viso intelligente utilizzata per pubblicizzare una nota catena di supermercati. È la protagonista del cosiddetto “spot della pesca”. Un cortometraggio girato in un supermercato di Milano, ma firmato da un’agenzia creativa di New York che racconta una storia, come solo un film può fare, che parla di una bambina figlia di genitori separati – forse divorziati – che fa comprare alla sua mamma una pesca per poi regalarla al suo papà quando verrà a prenderla, fingendo che sia stata la mamma a mandargliela. Furba anche la scelta della pesca, il regista non ha scelto come frutto da regalare una mela per evitare il possibile significato simbolico di colpa e/o di peccato che avrebbe inficiato l’effetto atteso dal filmato. Lo spot sarà forse anche tenero, ma affronta con grande superficialità un tema estremamente sensibile. Racconta la speranza di una bimba e la sua percezione di onnipotenza perché pensa che sia possibile, grazie alla sua piccola bugia, far riconciliare i suoi genitori. Speranza vana. Quello spot non racconta però quanto sia difficile, nella vita reale, per una coppia di genitori in crisi coniugale ma con una bambina così piccola, riuscire a separarsi a cuor leggero.

È molto violento, il tentativo che si percepisce – in quel mare di buonismo – di colpevolizzazione dei genitori. Un tentativo che ritroviamo, riproposto con le stesse modalità violente ed aggressive, nelle nostre piazze quando ci imbattiamo in uno di quei banchetti di comitati pro-vita che mostrano alla gente le foto di feti abortiti mentre raccolgono firme per una proposta di legge popolare finalizzata ad obbligare gli operatori di consultori a far ascoltare alle madri che vanno lì per abortire il battito del cuore del feto. Una cattiveria gratuita e senza fine. Qual è lo scopo? Agire sull’innato senso materno di tutte le donne, naturalmente presente anche quando decidono di abortire. Questi individui ne ignorano volutamente le motivazioni e tentano di trasferire il loro sentimento di odio a tutte le donne, a cominciare naturalmente da quelle che decidono di abortire.

Questi due atti (aborto e divorzio) sono e saranno sempre frutto di una profonda sofferenza per entrambi i protagonisti, e nello spot della pesca soprattutto per quella bimba. Purtroppo, il divorzio è un evento troppe volte preceduto da lunghe fasi di litigi e di incomprensioni, che portano la coppia a quella drastica decisione, sempre sofferta.

Lo spot è stato, e continua ad essere, al centro di numerose polemiche coinvolgendo in un dibattito infinito che psicologi, divorzisti ed esperti della comunicazione pubblicitaria e politica. A completare la passerella, sono intervenuti nel dibattito persino alcuni politici. Tra questi non poteva mancare la premier Meloni, che ha inopportunamente sottolineato il suo gradimento dopo aver visto il filmato, lo ha definito bello e condivisibile. “Mi è piaciuto molto” ha dichiarato. Presumiamo perché richiama temi che le sono molto cari: il concetto di famiglia tradizionale, la difese delle italiche tradizioni, il concetto che il divorzio sia un evento da demonizzare sempre, colpevolizzandone i protagonisti.

Ma perché nessuno parla del dramma che vivono i bambini, come la protagonista dello spot, quando devono vivere in contesti familiari pervasi da risentimenti e litigi continui, qualche volta anche violenti? E questo avviene proprio tra le persone che più si amano. I bambini sentono chiaramente la palpabile infelicità esistenziale dei loro genitori e quando non ne capiscano le motivazioni, pensano di esserne la causa. Questo spot non mi piace anche per questo. Perché pretende di raccontare, con il linguaggio leggero della pubblicità, una realtà dimezzata. Guarda solo gli effetti senza parlare delle cause. Non è giusto mestare nel torbido di questi sentimenti perché probabilmente sono circondati da grandi conflitti. Ma è stato proprio il gran parlare che se ne è fatto a dimostrare agli autori che la scelta è stata, sul mero piano della comunicazione, molto efficace. Ma questo solo dal punto di vista del ritorno pubblicitario, in questo caso eticamente discutibile. Molti spettatori saranno rimasti perplessi di fronte a quelle sequenze, soprattutto quando coinvolti per esperienze vissute e che quello spot richiama.

La domanda che ci poniamo allora è “fin dove è consentito spingersi quando si vuole pubblicizzare un prodotto? Quali argomenti sarebbe meglio evitare? Quando si decide di farlo come bisogna farlo, e cosa bisogna lasciare al sentire privato del telespettatore?

Forse trattare in tale modo questo tipo di divorzio è proprio uno degli argomenti da lasciar stare, soprattutto se si sta pubblicizzando un banale supermercato. Rispettiamo le persone, il loro dolore e persino i loro errori.

Una considerazione finale. I politici dovrebbero proprio lasciar stare questo tipo di sensibilità. È un ambito troppo delicato ed è sin troppo facile strumentalizzare questi sentimenti passando sulle persone, soprattutto se sono bambini, rinvangando i loro drammi personali, la loro sensibilità, al solo scopo di fare soldi anche a costo di lacerare i loro sogni, senza offrire una facile illusione di soluzioni miracolose.

 

 

 

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