Romagna, rabbia sociale

È un sospetto viziato da storica ostilità per s-governa il Bel Paese? È convinta empatia per la rossa roccaforte della sinistra? Cosa c’è dietro il clamoroso ritardo nell’erogare i fondi anti alluvione, ‘antipatia’ politica della destra?  Semplicemente un dato di fatto: quasi tre mesi fa l’impietosa violenza di un ciclone si è abbattuta sulla terra d’eccellenza dell’Emilia-Romagna, ha messo in ginocchio la regione italiana a più alto coefficiente di sana produttività. Da quasi tre mesi persone e imprese annientate dalla furia del tempo, che ha devastato case, fabbriche, coltivazioni, strade, chiedono ragione della colpevole inerzia del governo, che non ha rispettato l’impegno a caldo di rispondere ai danni dell’alluvione con adeguate risorse. Il titolo del ‘Riformista’ ha il dono della sintesi e fotografa la tragica inadempienza del governo: “Romagna, tempo scaduto. Fondi spariti, e i ritardi frenano la ripartenza”. L’esasperazione, lo stato di abbandono, delle vittime, la rabbia sociale, potrebbero culminare in gesti eclatanti, a dispetto della coesione sociale propria degli emiliani. Chi aderisce al ‘Comitato unitario vittime del fango’ a Forlì e dintorni, non esclude più nulla per ottenere i finanziamenti a copertura dei danni subiti, calcolati in oltre nove miliardi. Il caso di Faenza, la città più provata dalla furia di acqua e fango: quartieri spettrali, mille attività chiuse, abitazioni distrutte, cumuli di rifiuti non rimossi in una condizione di perenne, ignorata attesa. I tempi per ricevere gli aiuti dallo Stato sono lunghi, complessi e incerti. In tanti continuano a vivere ospiti di amici, parenti, situazioni precarie. Stefano Bonaccini, presidente della regione, di fronte a migliaia di persone e imprese che hanno visto da un momento all’altro compromesso ciò che avevano costruito e il proprio futuro, rifiuta la retorica dell’elogio per l’operosità della gente di Romagna. Quale perverso disegno politico impedisce l’erogazione dei fondi per il ritorno alla normalità dell’Emilia? È ‘pigrizia’ politica del governo di destra, verso una regione storicamente di sinistra?

Chi fa politica dovrebbe attenersi alle cautele della prudenza e contare fino a cento prima di esternare opinioni, commenti e dichiarazioni che si ritorcono a distanza di tempo.  Il caso De Angelis fa testo, ma non modifica la protervia di chi lo assolve e la legittima richiesta di dimissioni. Le respinge il governo della Meloni, negazionista a oltranza per tutti i suoi fedelissimi, le respinge Rocca, presidente di destra del Lazio che assolve De Angelis, suo alter ego nel ruolo di ‘comunicatore’. L’ex terrorista nero, com’è noto, per scagionare i terroristi arrestati, ha inventato una sua versione della strage di Bologna. Sostiene che il fascismo non c’entra, che non c’entrano Fioravanti, Mambro e Ciavardini (cognato di De Angelis), le loro responsabilità, accertate dalla magistratura e confermate autorevolmente da Mattarella. Lascia intendere di conoscere un’altra verità (ma quale?), conferma la sua versione benché sbugiardato. Di memoria labile non ricorda che nel ’93, come ex militante della destra eversiva, ha detto ai magistrati che indagavano il caso ‘Italicus’: “Non so nulla di Ustica e di Bologna per mia scienza diretta”. La Meloni che di solito non vede, non sente e non parla delle sue ‘pecore nere, azzarda un: “Non si può addebitare a De Angelis quello che pensano molti nel partito (in Fratelli d’Italia).

“De Angelis si deve dimettere”. Davanti alla sede della Regione Lazio è in corso un sit-in organizzato dal Partito democratico per chiedere un passo indietro al capo della comunicazione istituzionale del Lazio, ma l’obiettivo della manifestazione è incompleto. Manca una richiesta analoga per la Meloni, che evidentemente condivide le gravi ‘fantasie’ di De Angelis.


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