USA / SEMPRE PIU’ BELLIGERANTI. MENTRE SI APRE IL “FRONTE TURCO”

Usa sempre più in assetto di guerra su tutti i fronti, dalla Russia alla (via Taiwan) Cina.

L’ultima conferma arriva dal fresco vertice dell’Atlantic Council,   un influente thint tank anglo-americano che si è riunito a metà aprile ed ha elaborato un “Memo ai leader della NATO” in vista dello strategico vertice dell’Alleanza Atlantica che si terrà a Vilnius il prossimo 11-12 luglio.

Un memo, ovviamente, dai toni antirussi che più aggressivo non si può, dal momento che ha affermato senza se e senza ma “una guerra a tutto campo contro la Russia”.

A redigere il bollente documento è un personaggio il cui cognome, un tempo, ha fatto il giro del mondo: si tratta, infatti, di Ian Brzezinsky, ‘Senior Fellow’dell’Atlantic Council e figlio del celebre Zbigniew Brzezinsky, ex potente Consigliere per la    Sicurezza Nazionale degli Usa.

Ian Brzezinsky. Sopra, un summit dell’Atlantic Council

Il documento è co-firmato da Alexander Vershbow, ex ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca, ex vicesegretario generale della NATO nonché ‘distinguished fellow’ dello stesso potente think tank.

Il memorandum, in sostanza, chiede senza mezzi termini ai vertici NATO di onorare “un impegno senza fine” per la guerra contro il Cremlino, sostenendo che i leader dell’Alleanza Atlantica non devono solamente parlare e discutere in modo quasi accademico di vittoria, ma devono necessariamente adottare tutte le misure per assicurare la vittoria al 100 per cento.

Ecco come si esprime il Memorandum in vista di Vilnius: “Il prossimo vertice di Vilnius della NATO deve produrre più di un’articolazione della solidarietà transatlantica contro l’aggressione russa e un’espressione retorica di sostegno all’Ucraina. I leader alleati devono sfruttare l’opportunità di portare avanti un atteggiamento di difesa e deterrenza della NATO che rafforzi sostanzialmente e materialmente la sicurezza e la pace europee, sottolinei la determinazione della NATO a sostenere l’Ucraina e avvii il processo di completamento di un’Europa intera e libera in cui l’Ucraina sia pienamente integrata nella comunità transatlantica, anche come membro della NATO”.

Viene quindi ribadita la volontà di aggregare Kiev in tempi brevi al carro NATO, il che equivale a una vera e propria dichiarazione di guerra contro il Cremlino.

Il memorandum, quindi, indica con precisione i punti-cardine su cui dovrà incentrarsi il summit di Vilnius: “Sovranità e indipendenza dell’Ucraina”, come nuovo partner NATO; “Tenuta dell’Ordine Internazionale”; “Efficacia della coercizione nucleare” (alla faccia di tutti i proclami di non far mai e poi mai ricorso all’arma atomica); “Maggiore credibilità della NATO”.

Per realizzare quest’ultimo punto viene specificato: “La NATO deve: fortificare il proprio fianco orientale; sostenere pienamente gli obiettivi di guerra contro la Russia; espandere in modo significativo le sanzioni economiche contro il Cremlino; aumentare la produzione di capacità di difesa dei membri della NATO; procedere in tempi rapidi all’adesione dell’Ucraina nella NATO”.

L’arruolamento dell’Ucraina tra i membri NATO, e quindi la sua sottrazione all’influenza russa, nasce proprio nei gloriosi in cui rifulgeva la stella di Brzezinsky senior (ben prima del golpe di Maidan del 2014), secondo cui “senza l’Ucraina – sono le sue parole dell’epoca – la Russia cessa di essere una potenza europea”, viene man mano isolata, ‘asiatizzata’.

Val la pena di rammentare qualche dettaglio storico sulla dinasty dei Brzezinsky: la famiglia discende da un antico casato aristocratico polacco che regnava sul Voivodato di Ternopoli, poi passato all’Urss, e quindi all’Ucraina.

Tutto ciò può rientrare nel più volte ricordato progetto Usa-NATO della ricostituzione della ‘Grande Polonia’ di un tempo, capace di inglobare l’Ucraina.

 

Passiamo al palcoscenico turco, che offre non poche novità sul fronte anti-Usa.

Il contesto di Ankara è in forte fibrillazione, in vista del voto presidenziale e la precisa volontà americana che il ri-candidato Recep Erdogan esca sconfitto, perché pur essendo la Turchia un membro della NATO, da tempo ‘scalpita’ e intende rafforzare i legami con la Russia, caso mai in vista di un ingresso nel sempre più attrattivo blocco economico-commerciale ‘BRICS’ (Brasile-Russia-India-Cina-Sudafrica) di cui la ‘Voce’ ha spesso parlato come vera, concreta alternativa al declinante Occidente, in un’ottica ormai multipolare.

Suleiman Soylu

Ecco cosa scrive l’agenzia ‘Al-MayedeenNet’: “La Turchia accusa gli Stati Uniti di lavorare per creare uno ‘Stato terrorista’ al confine con la Siria, in riferimento al sostegno americano alle Unità di protezione del popolo curdo e ai gruppi terroristi radicali come il PKK”. E ribadisce: “Il ministro dell’Interno turco Suleiman Soylu ha ritenuto che gli Stati Uniti stiano formando uno ‘stato terrorista’ vicino ai confini con la Turchia, riferendosi al suo sostegno alle Unità di protezione del popolo curdo, che sono i maggiori componenti delle ‘Forze democratiche siriane’ alleate degli Stati Uniti, sottolineando che ‘questo pericolo non scomparirà’ a meno che non venga rimosso il fattore di influenza americana nella regione”.

Parole di chiara rottura con gli Usa.

Soylu ha ancora aggiunto, per chi non avesse inteso: “L’America vuole stabilire uno stato terrorista vicino a noi. Stiamo prendendo precauzioni e contro questo abbiamo condotto quattro importanti operazioni militari in Siria”.

E va giù in modo ancor più duro poche ore dopo il ministro degli Interni: “Washington sta perdendo la sua reputazione e il mondo intero la odia. L’Europa è solo una pedina per gli Stati Uniti”.

Lo ha capito molto meglio del nostro governo e di tanti esecutivi europei.

Solo due giorni fa, il 24 aprile, il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, ha confermato che “le forze del nostro esercito continuano con determinazione a combattere il terrorismo nel nord della Siria e in Iraq”.

E poi ha rivelato: “Domani, martedì (proprio il 25 aprile, ndr) a Mosca si terrà un incontro dei ministri della Difesa e dei capi dell’intelligence di Turchia, Russia, Siria e Iran, nell’ambito della normalizzazione delle relazioni tra Ankara e Damasco”.

Brutte gatte da pelare per l’amministrazione Biden in quella vastissima e strategica area mediorientale in forte fibrillazione. Sulla quale non può non aver pesato il fortissimo j’accuse lanciato da Robert Kennedy junior proprio in occasione dell’annuncio della sua discesa in campo per le primarie democratiche in vista delle presidenziali Usa: “Gli Stati Uniti hanno creato l’ISIS: una vera ‘bomba’, come la ‘Voce’ ha riportato qualche giorno fa e potere rileggere cliccando sul link in basso.

 

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ROBERT KENNEDY JUNIOR / GLI STATI UNITI HANNO CREATO L’ISIS

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