BRASILE NEL CAOS / LA LAVA JATO PER LE TANGENTI PETROBRAS. E L’ENI SEMPRE OSCURATA…

Estate amara per Ignacio Lula da Silva, il mitico – un tempo –compagno presidente do Brasìl, fresco di rinvio a giudizio nella Mani pulite carioca, l’inchiesta “Lava Jato” che da un anno e mezzo sta portando alla ribalta fatti & misfatti dell’establishment verdeoro. E tempi bui per la sua pupilla, la presidentessa Dilma Roussef, sospesa per sei mesi dall’incarico e a fine agosto pronta per il clamoroso impeachment. Una stagione di promesse che va in fumo, un Paese riconsegnato alle destre. Mentre le Olimpiadi di Rio sono ai nastri di partenza…

Ora Lula rischia grosso. Scrive in una breve nota per il Corriere della Sera Rocco Cotroneo: “Da oggi potrebbe essere arrestato: l’accusa è di aver tentato di ostacolare la giustizia, provando a disinnescare la confessione di un manager della Petrobras. Altre due indagini a suo carico proseguiranno a Curitiba”.

Una storia, quella delle maxi tangenti Petrobras, semi oscurata dai media di casa nostra. Disco verde alle notizie sulla crisi istituzionale in atto, la corruzione dei tre quarti della classe politica, dal Partito del Lavoro (sic) targato Lula-Roussef ai partiti di opposizione, altrettanto se non addirittura più inquinati. Ma totale censura – in questo caso autocensura – sul coinvolgimento dei big di casa nostra in quello scandalo del secolo, con la più gigantesca montagna di mazzette in fase di eruzione: 4 miliardi di dollari finora accertati, con la possibilità che venga superato il tetto dei 20 miliardi. A questo punto la nostra maxi tangente Enimont della prima Mani pulite (una ventina di miliardi di vecchie lire) diventa una bazzecola, un’autentica pinzellacchera.

Paolo Scaroni. In apertura, Ignacio Lula de Silva

Paolo Scaroni. In apertura, Ignacio Lula de Silva

Ma guarda caso, fa capolino sempre Eni, il colosso energetico di casa nostra. Un’Eni ovunque, sugli scenari della corruzione internazionale. Indagata sia dalle procure di mezzo mondo che dalla procura di Milano. Tra gli inquirenti meneghini in prima fila Fabio De Pasquale, che più di vent’anni fa curò quella bollente inchiesta che coinvolgeva, fra gli altri, anche Gabriele Cagliari, il numero uno che finì i suoi giorni in galera con un sacchetto avvolto intorno alla testa: mentre altri protagonisti di quella vicenda l’anno fatta franca, a cominciare dal super faccendiere Francesco Pacini Battaglia (il quale a Milano veniva trattato con i guanti bianchi: come nel caso dell’inchiesta sull’Alta Velocità e un Antonio Di Pietro – solitamente inflessibile con i suoi inquisiti – improvvisamente morbido…).

E De Pasquale è da due anni di nuovo in pista sulle tracce delle mega mazzette internazionali di casa Eni: dal Brasile, appunto, all’Algeria e alla Nigeria, fino al Kazakistan. E giorni fa è arrivata la prima, clamorosa condanna (evidentemente anche stavolta semi oscurata dal mainstream di casa nostra) per le tangenti algerine a carico dell’ex presidente Eni Paolo Scaroni, in pole position per il futuro vertice della nuova Ilva made in Renzi. Mentre sul fronte brasiliano (ma anche milanese), insieme a Petrobras ed Eni sono indagate Saipem – il nostro colosso dell’impiantistica petrolifera – e la Techint di Gianfelice Rocca.

Di Pietro, dal canto suo, prima di tuffarsi nella nuova esperienza al vertice della “Pedemontana Lombarda”, per precisa volontà del presidente della Regione, il leghista Roberto Maroni, ha pensato bene di ritemprarsi con una full immersion carioca. E’ stato infatti la guest star ad un mega convegno promosso un mese fa dall’alta corte di giustizia di Brasilia sui temi della “corruzione”: dall’alta cattedra dei trascorsi di Mani pulite ha potuto propalare il suo Verbo…

 

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