OMICIDIO STEFANI / PARLA LA COACH PIERA VITALI, EX ISPETTORE SUPERIORE DI POLIZIA LOCALE

Ci si continua ad interrogare sulle effettive dinamiche che hanno portato alla morte di Sofia Stefani, la trentatreenne uccisa ad Anzola dell’Emilia con un colpo esploso dalla pistola d’ordinanza di un collega, l’agente di Polizia Locale Giampiero Gualandi, con cui aveva avuto una relazione. Ultimo atto la decisione del gip di Bologna Domenico Truppa, che ha respinto l’ipotesi avanzata dalla difesa di un colpo partito accidentalmente. Secondo il giudice Truppa, quando Sofia Stefani lo scorso 16 maggio è entrata in una stanza del comando della polizia locale di Anzola Emilia insieme a Gualandi, «lui aveva già in mente l’omicidio». Tra i due ci sarebbe stata una lite, culminata con lo sparo. Questa la ricostruzione del giudice, che ha disposto il carcere per il 63enne Gualandi con l’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dal legame sentimentale con la vittima.

Piera Vitali

Ne parliamo con Piera Vitali, oggi nota consulente relazionale ma, soprattutto, per oltre trent’anni ispettore superiore di Polizia Locale nello stesso territorio in cui operava il presunto assassino.

 

Dottoressa Vitali, lei si occupa da sempre di violenza sulle donne e dei casi di femminicidio, come quello della povera Sofia, mentre lotta ancora tra la vita e la morte a Biella l’influencer di origini marocchine Siu, per il cui tentato omicidio è in carcere il marito. Quali sono i primi segnali a cui le donne dovrebbero stare attente, per evitare che i comportamenti violenti possano degenerare in simili tragedie?

Nel mio libro  Paura ti butto via ! indico alle donne “otto passi salvavita”. Sono le famose otto A: Accorgersi di ciò che sta accadendo, Annusare l’aria, utilizzare i cinque sensi per comprendere cosa sta cambiando nel nostro contesto familiare, anche dal punto di vista meramente fisico. Analizzare il rapporto con il partner, momento per momento.  Ascoltare, nel senso di sentore “oltre”. Annotare, prendere appunti per tenere sotto controllo ciò che sta accadendo. Allenarsi all’attenzione, che non deve mai scendere sotto livelli di guardia. Agire, se necessario andando in un centro antiviolenza o attivando le forze dell’ordine. Infine, forse il passaggio più importante: Amarsi, perché solo amandoci possiamo riuscire a difenderci.

 

Veniamo al caso di Anzola dell’Emilia. Nel corso della sua lunga carriera di ispettore superiore in Polizia Locale aveva conosciuto Giampiero Gualandi?

Era un personaggio molto in vista, specie negli anni un cui era stato comandante, lo conosciamo un po’ tutti per questo, ma nulla di più.

 

Come si spiegano casi di questo genere quando sono coinvolti personaggi addetti alla tutela dell’ordine pubblico?

Chi si occupa della sicurezza pubblica dovrebbe essere sempre affiancato da corsi di formazione per l’autocontrollo e per l’autostima, ma soprattutto corsi per la gestione dei conflitti, non solo nella fase di reclutamento, ma anche durante tutta l’attività in servizio. Purtroppo questo strategico sistema di prevenzione manca.

 

Perché, secondo lei?

In generale non è abbastanza sentita l’esigenza, che è invece reale, di avere una cura costante non solo del fisico, ma anche dell’animo e delle emozioni di chi si occupa a vari livelli della cosa pubblica, come ad esempio gli agenti di Polizia. Non si comprende che esistono conflitti interni da non sottovalutare, da curare prima che sia troppo tardi.

 

Si riferisce all’omicidio di Sofia Stefani?

Sì certo, ma non solo. Da troppo tempo ormai ci sono divise che usano l’arma in maniera impropria. Poco tempo fa nella stessa zona una vigilessa si è tolta la vita con la pistola d’ordinanza. E potrei citare altri casi recenti. La verità è che manca il controllo sull’equilibrio necessario a chi per servizio debba portare un’arma. Generalmente si dà per scontato che chi ha a disposizione un’arma di servizio debba essere una persona in equilibrio con se stessa e con gli altri. Ma la cronaca e l’esperienza ci dimostrano che non sempre è così. Chi non è in equilibrio non dovrebbe possedere né tanto meno gestire un’arma, soprattutto se di ordinanza.  E su questo sarebbe indispensabile un maggior controllo.

 

In che modo secondo lei potrebbe essere esercitato questo necessario controllo?

Nella fase del reclutamento è necessario un apposito addestramento, che non sia solo quello del poligono. Il vero bersaglio è l’equilibrio, che ogni agente, ogni operatore che porti una divisa ed abbia un’arma, deve possedere. Poi, più in generale, anche durante tutta la carriera, gestione del controllo e la gestione del conflitto, esterno e interiore, devono essere i cardini di tutti coloro che come pubblici ufficiali sono chiamati a tutelare la sicurezza pubblica. Lo ripeto ancora: occorrono corsi specifici sulla gestione dei conflitti, che periodicamente possano sostenere nel loro difficile compito gli addetti alla pubblica sicurezza e al tempo stesso offrano maggiori garanzie e tutele alla popolazione tutta.

 

Chi dovrebbe occuparsene?

Guardi, recentemente in alcuni Comuni sono previste prove psico attitudinali per i concorsi di chi intende entrare nella Polizia Locale, ma non basta, anche perché si tratta di iniziative non generalizzate e limitate solo all’ingresso. Per attivare realmente gli indispensabili corsi periodici di cui parlo dovrebbero entrare in campo le Regioni e, comunque, un maggior numero di Comuni. Mi auguro davvero che gli Enti istituzionalmente preposti a difendere la tranquillità dei cittadini se ne occupino al più presto.


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