IL GOVERNO ALL’ATTACCO DELLA STAMPA

Il governo Meloni va ora pesantemente all’attacco della libertà di stampa. Quando qualcuno ci aveva provato nel 2021 la Corte costituzionale intervenne intimando al Parlamento di eliminare il carcere per i giornalisti.

Ora ci riprova FdI a intimidire i cronisti che fanno giornalismo d’inchiesta come hanno sempre fatto fin dagli anni ’70, quando hanno deciso di approcciare direttamente le fonti. Oggi e lo fanno pochi coraggiosi che non accettano di omologarsi alla informazione ufficiale. Lo fanno quelli di Report, alcune voci giornalistiche locali e chi ancora indaga sulle magagne governative, di qualunque colore politico siano.

Per fortuna c’è ancora chi tenta di portare alla luce notizie di brogli, di corruzione, di interessi o di tangenti. Questo nuovo tentativo di censura si concretizza minacciando denunce e la prospettiva del carcere per chi si macchia del fumoso reato di “diffamazione a mezzo stampa”. E poco importa se in passato sono state proprio le anticipazioni della stessa stampa che hanno consentito l’apertura di molte delle inchieste su tangenti, malgoverno e ogni altra forma di corruzione in politica.

Quello che importa a chi governa è non essere disturbati, non avere intralci nella gestione dei loro pericolosi affari e ambigui rapporti con i servizi e la delinquenza organizzata. Prevale a volte la necessità di influenzare i percorsi legislativi orientandoli in favore degli interessi di amici “generosi” o di amici degli amici. Non possiamo ancora sapere, per esempio, cosa è accaduto e cosa hanno concordato nei noti incontri di Salvini e Savoini a Mosca del 2018 con esponenti russi, presso il lussuoso Hotel Metropol. Oggi qualche partito sta nuovamente tentando di zittire ogni forma di dissenso. Ma stavolta pare che qualcuno, sia pur alleato di governo, mostra l’intenzione di voler prendere le distanze. La proposta di reintrodurre il carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa, fatta in commissione parlamentare dal rappresentante di Fratelli d’Italia, ha infatti provocato tiepide perplessità da parte degli alleati di Lega e Forza Italia. Ma, francamente, non sappiamo quanto potrà pesare questa voce. Certamente più di quella delle opposizioni di centrosinistra che continuano a farsi sentire timidamente con toni incerti, soprattutto in quella parte che si riconosceva nel defunto terzo polo.

Ma per fortuna c’è il sindacato che scende in campo a difesa della libertà di stampa. Parliamo del USIGRAI, il sindacato dei giornalisti della Rai, che ha protestato con forza contro questa nuova minaccia che il governo paventa contro l’informazione quando minaccia pesanti sanzioni fino al carcere per quei giornalisti che continueranno a denunciare scandali che riguardano i politici violando il segreto dei procedimenti a loro carico.

La protesta è scattata dopo una mozione proposta in Commissione parlamentare di vigilanza su alcune modifiche alle normative sulla par conditio in vista delle prossime elezioni. Si tratterebbe di considerare fuori dai limiti imposti dalla normativa preelettorale, la partecipazione dei membri del governo ai talk show. Una straordinaria opportunità di fare propaganda politica che ricorda tanto i limiti dei tempi del MinCulPop. Eppure, ci sembra evidente l’imprescindibilità della mediazione di giornalisti e del loro ruolo critico quando con i politici sui risultati raggiunti e sugli obiettivi da perseguire.

“La maggioranza di governo ha deciso di trasformare la Rai nel proprio megafono – ha scritto il sindacato dei giornalisti nel suo comunicato – e lo ha fatto attraverso la Commissione di vigilanza che ha proposto una norma che consente ai rappresentanti del governo di parlare nei talk show senza vincoli di tempo e senza contraddittorio. Non solo, Rainews24 potrà trasmettere integralmente i comizi politici, senza alcuna mediazione giornalistica, preceduti solamente da una sigla (…)”.

Queste parole, pesanti come macigni, sottolineano il ruolo che può e deve svolgere la stampa in ogni democrazia. D’altronde le cronache ci dicono che la libertà di stampa è minacciata in tutta quella parte del mondo in cui emergono tentazioni di controllo sociale e in cui si vanno affermando cosiddetti “governi forti”. È già accaduto in Polonia e in Ungheria e non vorremmo davvero che si aggiungesse anche l’Italia.

Questi governi, infatti, concepiscono il potere al di sopra di ogni cosa, anche del controllo sul loro operato. È per questo motivo che una democrazia ha sempre bisogno della presenza di una stampa libera, che fa il suo mestiere di custode delle regole democratiche e che non si omologa quando si trova di fronte a un’unica verità consentita. Il controllo sul buon governo è possibile solo a condizione che i tutti i cittadini siano messi in condizione di conoscere la verità, solo così quando voteranno, saranno poi in grado di decidere chi e come li governerà. Quando è silenziata la stampa libera e il flusso delle informazioni è controllato dal governo o dagli oligarchi dell’informazione la gente riceve un’immagine distorta di ciò che accade. È per questo motivo che oggi prevalgono in politica coloro che hanno acquisito il controllo delle fonti dell’informazione ed è per lo stesso motivo che si investe tanto per acquisire testate giornalistiche e televisioni, che raramente producono utili. I mezzi di informazione sono diventati una forma di investimento produttivo per quanti intendono diffondere fake news e verità di parte.

Oggi la comunicazione si fonda principalmente sui social che sono diventati dominanti. Il mercato è sempre più difficile per le aziende piccole e per le agenzie indipendenti per le quali è arduo competere. Le grandi piattaforme aggregano le notizie e le condividono con i loro utenti, senza che la fonte che ha trovato e scritto la notizia, riceva mai la giusta quota di ristoro che consentirebbe loro di sopravvivere. Questa prassi uccide la concorrenza e fa fallire la residua libera stampa che non trova più supporti né sponsor. L’intera informazione resta nelle mani delle grandi agenzie, esposte ai ricatti di chi comanda. Morta la stampa libera chi potrà assicurare che la diffusione di informazioni non manipolate, al servizio di un solo politico, di un partito, una organizzazione o di interessi di parte?

Il compito di questa stampa è, come si dice nei paesi anglofoni, un ruolo di watchdog, ossia di cane da guardia (della democrazia). Proprio quello di disturbare chi governa, in quanto “manovratore” di turno.

E questo la Voce lo sa bene.

 

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