CORRUPTION DAY, EVERY TIME (cambiano gli attori, noi il copione)

Ha ragione Massimo Giannini, editorialista del quotidiano la Repubblica, il diffuso fenomeno del “vota per me” in cambio di…nel ‘caso Bari’ poco somiglia alle colossali indecenze di ‘mani pulite’, alle tangenti milionarie, alle mani su ogni segmento dell’economia dotato di ingenti risorse. Che sia un bene o un male appartiene all’analisi di politici e indagini della magistratura, ma un primo indizio lo racconta la cronaca giudiziaria di questo inizio di primavera che segue e anticipa turni elettorali, locali e internazionali.  L’asse trasversale del fenomeno congiunge con una linea immaginaria nord, centro e sud del Paese, ovvero Piemonte, Basilicata e Sicilia. Per ora. Con una variante di non poco conto. A Bari corrotti e corruttori sono come si dice senza rispetto per la lingua di Dante “mezze tacche”, emuli della malavitosa genia camorrista che pagava i voti da loro orientati a fronte della prova certificata da una con una foto scattata in cabina con il cellulare. A Bari, ora, era diffuso il mercato dei cinquanta euro per ogni voto ‘venduto e comprato”. Fu più generoso il comandante Lauro (una scarpa prima una dopo il voto). In un’intercettazione in quel di Torino un ameno, influente interlocutore, chiede di continuare a godere di una    ‘tesserina’ skipass a sbafo per la figlia, frequentatrice di piste da sci. Sempre in Piemonte indagini per profitti su appalti stradali. Se accertati, il tema della corruzione aggancia il modello tangentopoli. Era prevedibile ed è avvenuto. I due episodi di Bari e Torino simili e dissimili, hanno acceso la miccia di mine anti Pd della destra, con punte esponenziali di aggressività politica dei meloniani e alimentano il fuoco ‘amico’ di Conte, la sua ambizione a diventare leader della coalizione di centro sinistra. L’andazzo del voto di scambio ha rivelato gli effetti collaterali più gravi in terra di Sicilia. Tale Mimmo Russo, consigliere comunale di Fratelli d’Italia dal 2001 per quattro mandati di fila, meloniano dal 2017, comprava i consensi di Cosa Nostra con soldi e promesse: è in carcere per concorso esterno e voto di scambio. Membro del coordinamento cittadino di Fdi, secondo gli investigatori aveva costituito un ‘comitato d’affari’ con un massone e figlio di un boss. Storico esponente del Movimento sociale e poi di Alleanza, a partire dal 2002 Russo ha comprato i voti per conto della mafia con soldi, buoni benzina, promesse di assunzioni in cooperative. Grazie a lui, secondo l’accusa, hanno trovato lavoro in un noto supermercato di Palermo hanno l’amante del boss di Brancaccio Stefano Marino e la nuora del capomafia ergastolano Francesco Scimone. Ad accusare Russo sono una decina di pentiti di Cosa Nostra: “Mimmo Russo prometteva posti di lavoro, si era offerto di pagare la festa del quartiere in cambio dell’appoggio elettorale. È un politico che fa avere posti di lavoro, uno di famiglia, ha dato lavoro a mafiosi, pretendeva il pagamento di dieci euro al mese a testa a titolo di spese ‘sindacali’ dai tremila lavoratori di cui si occupava come sindacalista, con un’entrata illegale di trentamila euro al mese. Metteva il suo sindacato a disposizione dei boss detenuti per ottenere l’affidamento in prova e quindi farli uscire dal carcere. A fargli la campagna elettorale era il figlio di uno dei più spietati killer dei corleonesi, cioè Filippo Marchese, detto Milinciana (melanzana) tra i killer di Carlo Alberto Dalla Chiesa”. Ebbene,  non vi è traccia di condanna della destra per questo ‘suo’ corrotto e corruttore, ma nessuna meraviglia, il sistema mediatico di “Yo soy Giorgia” è rapidamente diventato ‘cosa sua’. Morale: il racconto dei tre episodi, analoghi, ma diversi, risponde al perché della disaffezione degli italiani per la politica, del crescente astensionismo elettorale.

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