Voto, partecipazione a sinistra… ma perché?

Luciano Scateni ci ha girato questa interessante riflessione di Rosario Pinto, critico d’arte ed intellettuale della sinistra storica. La pubblichiamo con  grande piacere.

Voto, partecipazione a sinistra… ma perché?

DI ROSARIO PINTO
Giustissimo, Luciano. E quindi? Si sta a casa e non si va a votare. Per chi votare, d’altronde? Si lo so, sembra qualunquistico tutto questo, ma non appartiene alla ‘cultura di sinistra’ non rendere nelle urne un voto di delega ma di partecipazione? E partecipazione, oggi, a cosa? Alle piroette dialettiche della Schlein che si destreggia (o cerca di farlo) tra Calenda, Renzo e Conte nella speranza di rabberciare un 51%, sulla base di un compromesso al ribasso che sarebbe impallinato il giorno dopo il risultato elettorale (ammesso che una tale armata Brancaleone sia capace di ottenerlo)? Un voto di fede, mi si potrebbe rispondere; ed io replico: fede in che cosa? in una cultura di sinistra che nessuno (almeno tra i politici) sappia più veramente cosa sia? Certo, non andare a votare è una scelta discutibile, ma lo è meno, forse, quella di votare per ‘il meno peggio’? E poi, è davvero ‘meno peggio’ una sinistra che, per prima, nella storia repubblicana, ha inaugurato i bombardamenti aerei nei Balcani, che ha smantellato lo Statuto dei Lavoratori, che ha rimodellato la Costituzione, una sinistra che aveva deciso (Natta) che un segretario del partito non dovesse baciare un lavoratore, segnando con un gesto divisivo e simbolico il punto di frattura che, di fatto, si stava consumando tra una ‘sinistra di opposizione’ ed una ‘sinistra di governo’?
La crisi attuale della ‘sinistra’ è profonda e lacerante: e nasce dall’idea di qualche geniale maitre à penser dei ‘nostri’, di spiccate sensibilità, purtroppo, crociane, che aveva teorizzato, già alcuni decenni fa, che la classe operaia era finita o in via di finire e che la sinistra avrebbe dovuto guardare al centro. Idea geniale! cui ha corrisposto la proletarizzazione della classe media, che era proprio invece quel pezzo di società che, negli anni ’70, aveva consentito all’allora PCI di proporsi come modello convincente di alternativa democratica stretta intorno all’idea di progresso e riscatto sociale, non meno che a quella della ‘questione morale’.
Poi, è venuta l’orgia della caduta del muro di Berlino ed è sembrato che si dovesse portare tutto allo ‘scasso’, tutto, compreso il patrimonio di sacrifici e di impegni, la grande cultura della ‘partecipazione’, l’idea stessa di ‘oggi e sempre Resistenza’, con l’idea che la sinistra sarebbe cresciuta adottando prospettive da edonismo reaganiano e sposando, culturalmente le prospettive lyotardiane di ‘derive’ postmoderne.
Poi è venuta l’era berlusconiana e, purtroppo, non meno, quella di Prodi, che è stato considerato (ma io direi meglio, confuso) come un leader ‘di sinistra’, mentre, di fatto è stato solo un leader ‘della’ sinistra, di quella sinistra funzionariale dei cosiddetti ‘quadri’, che sognava il potere delle ‘poltrone’ e non il potere del ‘servizio’, dimentica delle sue radici e delle sue ragioni, flebilmente rappresentata nel simbolo di un discutibile ramoscello di ‘ulivo’ che certamente non convinceva nessuno e che testimoniava piuttosto, lo stato di resa di una classe politica che aveva rinunciato non solo a farsi portatrice dei contenuti storici delle proprie radici, ma anche della stessa profilatura di tutela delle consistenze della democrazia che, o è ‘partecipazione’ o non è.
Perché non si è più adoperato lo slogan – carico di contenuti – di ‘controllo democratico’? Perché sono stati istruiti i processi sommari alla ‘ideologia’ considerata la madre di tutti i mali? Perché non si è stigmatizzato come una ‘trahison des clercs’ le barche a vela su cui veleggiavano i leader di sinistra mostrando dimestichezza con le gomene, ma palese imbarazzo, poi a dover rispondere se sapessero quanto costasse un litro di latte?
È proprio qui, Luciano, aggiungerò, proponendo un esempio convincente, che è crollata la sinistra: quando ha immaginato che una cultura di sinistra potesse identificarsi con il successo nella lotta al coltello tra le baronie universitarie, piantando bandierine di trionfo sui vari atenei ed istituti di ricerca conquistati. Questa era una vittoria di ‘potere’ culturale, non la affermazione di una ‘egemonia culturale’, che è cosa ben diversa e coincide con la assunzione di coscienza identità e responsabilità.
Tu riconosci nella attuale classe dirigente di ciò che chiamiamo ‘sinistra’ almeno una di queste tre cose: coscienza, identità e responsabilità? Io, sinceramente, non ne vedo nessuna. Vedo, invece, molto ben ferma al potere, una destra che sa fare il proprio mestiere, che litigherà pure al proprio interno, ma che è granitica e compatta nel definire i propri obiettivi e nel difendere interessi (ovviamente, anche qui, i propri).
A sinistra, non servono alleanze o strategie elettorali, non serve mettere insieme tutto e il contrario di tutto immaginando di ‘vincere’ con un 51% raccogliticcio ed abborracciato. Questo è un progetto da ‘sinistra di governo’ e non da ‘governo di sinistra’.
Ecco, ho coniato anch’io uno slogan: MAI PIU SINISTRA DI GOVERNO MA GOVERNO DI SINISTRA.
Che ne dici, lo suggeriamo alla schlein (scritto sempre a lettere minuscole, come è giusto che sia) sperando di convincerla a capire che la battaglia non si vince nelle stanze del potere, ma tra la gente, dove c’è sofferenza, disillusione malessere, bisogno di pace, parole e fatti di impegno vero contro la violenza della guerra e, comunque, contro il cumulo mostruoso di ingiustizie e di prevaricazioni che – non dimentichiamolo – sembrava dovessero finire nella prospettiva di pacificazione globale che avrebbe dovuto far seguito alla fine del Comunismo e che, invece ……
Tutto quanto ho detto, mi rendo conto, è poco pragmatico, ma io ritengo che proprio il pragmatismo sia il male che ha fiaccato la sinistra, rendendo necessario, oggi, ripartire proprio da qui: dalla rinuncia al pragmatismo, dalla denuncia della politica intesa come ‘amministrazione’ e della scelta di un progetto non di ‘alternanza’, ma di ‘alternativa’, una prospettiva insomma, di Weltanschauung, una riappropriazione culturale.
Un caro abbraccio, Luciano e scusami lo sfogo che solo la tua sensibilità umana e ‘DI SINISTRA’ può comprendere ed apprezzare nei suoi intendimenti sinceri e nelle ragioni profonde.
 Rosario Pinto

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