40 ANNI ‘VOCE’ / MAXI INCHIESTE SU STRAGI & DEPISTAGGI DI STATO. E AFFARI MILIARDARI

Nella parte iniziale sui nostri primi 40 anni, abbiamo soprattutto tracciato un profilo dei tanti ‘compagni di viaggio’; e descritto per sommi capi il contenuto dei libri editi o coediti dalla Voce.

Passiamo adesso alle inchieste, o contro-inchieste, se preferite, pubblicate in questo lungo arco di tempo, e soprattutto ai temi da novanta affrontati.

 

POMICINISMO & ASSALTO ALLA DILIGENZA

Paolo Cirino Pomicino

Il filo rosso che ha caratterizzato le nostre Voci, soprattutto fino al ciclone (‘finto’, ‘taroccato’, come chiariamo più avanti, nella terza parte) di Tangentopoli, è stato quello del ‘pomicinismo’, ossia la mentalità ‘predatoria’ della nostra classe politica che ebbe uno dei suoi emblemi proprio in ‘O Ministro, ossia Paolo Cirino Pomicino, prima presidente della Commissione Bilancio alla Camera (detta ‘Commissione Sportello), poi ministro della Funzione Pubblica quindi titolare del Bilancio (quando nel 1991 uscì il libro).

Fu allora, in quegli anni, che i politici partenopei si fecero rouling class a livello nazionale: da Antonio Gava ad Enzo Scotti per la Dc, e ministri degli Interni (senza dimenticare mister 100 mila, alias Alfredo Vito); a Giulio Di Donato, vice segretario nazionale del Psi; a Francesco De Lorenzo, ministro della Sanità.

Non ci siamo fatti mancar querele e citazioni civili praticamente da nessuno.

Ad aprir le danze, metà anni ’80, Pomicino e Scotti, che si inalberano per un’inchiesta sul ‘Caso Monteruscello’, una ‘Tangentopoli’ (stavolta vera) a pochi chilometri da Pozzuoli, all’epoca del bradisisma. C’erano dentro un po’ tutti, nell’affaire, dai politici (i due appunto in pole position), alle grandi imprese del mattone (una menzione per tutte, la fiorentina ‘Pontello’) fino a quelle della camorra, ovviamente, allora in rampa di lancio.

Francesco De Lorenzo

L’inchiesta della magistratura, portata avanti da tre coraggiosi pm, venne ‘schiattata’ in istruttoria, grazie al miracoloso intervento dell’allora procuratore capo di Napoli, Alfredo Sant’Elia, grande amico del pluriministro Scotti, in sella alla Protezione Civile, proprio ai tempi del ‘La grande abBOFFAta’ di Monteruscello, come titolammo allora, proprio perché il braccio destro di Scotti e ‘brasseur’ si chiamava Aldo Boffa (poi gratificato con la strategica poltrona di assessore regionale alle Acque e Infrastrutture).

Non venimmo invece querelati, all’epoca, per un pezzo molto asettico ma davvero dirompente, ‘L’Appartamento’. Situato in via Petrarca, la più panoramica di Napoli, nel giro di pochi anni aveva cambiato ben 4 proprietari: Gava e Pomicino, sul fronte politico, i fratelli Sorrentino (imprenditori-camorristi decollati proprio a Monteruscello) e il banchiere d’assalto Ninì Grappone, legato al re delle bionde e boss di spicco Michele Zaza. Un poker d’assi: ma sul quel fronte la magistratura non mosse un dito, eppure le ‘prove’ della super-connection erano documentate (parlavano da soli i registri del catasto di Napoli) e clamorose.

E cadde dal pero, Pomicino: mai conosciuti, i Sorrentino, si giustificò davanti al Giurì d’onore della Camera per una controversia con il socialista Franco Piro. E quell’appartamento? “Mia moglie Wanda lesse l’annuncio sul Mattino”.

Una bugia grossa… come una casa”, titolò la Voce. Perché, incredibilmente, all’archivio del tribunale di Napoli, in mezzo ad una vera montagna di carte, riuscimmo a scovare una lettera firmata da Pomicino in persona, con la quale – su carta ministeriale – raccomandava uno dei fratelli Sorrentino (Alessandro, poi ucciso in un regolamento di conti) per un posto di lavoro. Quando aveva affermato di non conoscerli proprio, i Sorrentino!

Un paio d’anni dopo, attraverso una serie di visure societarie alla Camera di Commercio, facemmo un’altra scoperta da novanta: i fratelli Sorrentino, sentita aria di bufera, preferirono traslocare e spostare il loro quartier generale in Toscana, per la precisione nella verde provincia di Lucca. E fin qui niente di trascendentale. Ma la sorpresa fu quella di trovare un socio dell’ICLA, Augusto Dresda, in felice compagnia societaria dei Sorrentino proprio in una sigla partorita a Lucca! E l’ICLA, lo rammentiamo, era l’impresa del cuore di ‘O Ministro, capace di calamitare negli anni ’80 una sfilza di appalti miliardari in tutto il vasto settore delle opere pubbliche: da quelle per i beni culturali fino al TAV, ossia il Treno ad Alta Velocità. La prova del 9 sulla connection: ma per magistratura, media e politica (i partiti di opposizione, sic) niente, tutto liscio come l’olio!

 

TAV, MAXI APPALTI & MASSACRI AMBIENTALI

Ed eccoci “Tutti a TAVola”, fu il titolo di un’inchiesta inizio anni ’90 e uno dei piatti forti della Voce in quel decennio.

Perché proprio il ‘Treno ad Alta Velocità’, il TAV, era al centro del dossier ‘Mafia e Appalti’ elaborato dal ROS dei carabinieri. E finito sul tavolo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: vero motivo del tritolo di Capaci e poi via D’Amelio. Proprio perché c’erano ancora una volta tutti dentro: pezzi da novanta della politica, dell’imprenditoria e delle mafie (Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta). Un mix che più esplosivo non si può… è dannatamente il caso di dire.

Ne scriviamo per tutti gli anni ’90. Partecipo ad una puntata del Costanzo show, dedicata proprio all’alta velocità, invitato d’onore (per la serie degli ‘Uno contro tutti’) Giuseppe Sciarrone, responsabile delle relazioni esterne delle Ferrovie. Che non sa letteralmente che pesci prendere e a tutte le domande risponde farfugliando, “non lo so”, “mi documenterò”, “saprò fornire delle risposte”. Non ce ne sarà bisogno, perché il dirigente dopo un po’ passerà alla ‘concorrenza’, come socio dell’Italo messo in pista dal tris Montezemolo-Della Valle-Punzo.

E guarda caso, dopo trent’anni e passa, proprio la ‘nuova’ (sic) gola profonda, al secolo Sandokan, in questi giorni sta parlando ai magistrati degli appalti ottenuti dai Casalesi a bordo delle comode Ferrovie!

La Voce, del resto, proprio in quei ’90 scrisse non poche inchieste sui generosi appalti FS nel settore delle pulizie vinti, ad esempio, proprio dalle imprese legate al clan Nuvoletta (il più potente all’epoca nel napoletano), tramite i faccendieri impegnati anche nel calcestruzzo con la corazzata Bitum Beton e ottimi amici di Aldo Boffa! Un cerchio perfetto….

Una cover della Voce sui lavori per la TAV. A sinistra Imposimato e Provvisionato. A destra Borsellino e Falcone

E finiamo in TAV.

Ossia con l’impedibile libro firmato nel 1999 da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, ‘Corruzione ad Alta Velocità’, nel quale viene dettagliato in modo perfetto il ruolo svolto da Romano Prodi, prima capo dell’IRI, poi premier, per far decollare in grande business TAV. E viene anche perfettamente delineato il ruolo di ‘Grande Insabbiatore’ delle inchieste sull’Alta velocità svolto da Antonio Di Pietro: il quale aveva avocato a sé il filone romano d’indagine e poi ‘ucciso’ quello milanese, pur potendo contare sull’Uomo a un passo da Dio che sapeva ogni cosa sulla madre di tutte le tangenti (Enimont) e sul TAV, ossia il banchiere italo-elvetico Pierfrancesco Pacini Battaglia.

Il quale, con tutti i soldi che aveva, chi si sceglie come legale di fiducia? Non un principe milanese del foro, ma un ‘paglietta’ sbarcato pochi mesi prima dall’Irpinia, Giuseppe Lucibello, che però ha un asso nella manica: una grande amicizia con il sempre ringhioso pm, don Tonino, che per incanto mostra un inusitato guanto di velluto proprio di fronte alla gola profonda, Pacini Battaglia. Che non dirà una parola e non farà neanche una notte in gattabuia.

Storie che la Voce ha più volte scritto e riscritto, ma sulle quali è calato un assordante silenzio giudiziario (ma anche politico e mediatico, ugualmente assordanti).

Abbiamo accennato a Mafie & Opere pubbliche.

Sul primo fronte, fin dalla fine degli anni ’80, abbiamo cercato di documentare come in particolare la camorra (avendo la redazione a Napoli potevamo constatarlo da un osservatorio privilegiato) abbia sùbito avuto la vista lunga, soprattutto per riciclare meglio, di più e in mondo praticamente indisturbato, varcando i confini regionali. Lo abbiamo visto con il clan Sorrentino via Toscana; e poi con le imprese ‘nuvolettiane’ di pulizie che si aggiudicano l’appalto alla Fiera di Rimini. Oppure con un colletto bianco dei Galasso da Poggiomarino il quale riesce a vincere un bando di gara dell’Istituto Autonomo Case Popolari a Torino.

Per non parlare delle prime ‘gite’ all’estero. Ce lo racconta – e ne scrive per noi – il presidente dell’Osservatorio sulla camorra, Amato Lamberti, che dettaglia i super riciclaggi a botte di ristoranti, night & tempo libero messi a segno dal clan La Torre di Mondragone. E sapete dove, a inizio anni ’90? In Scozia, per la precisione ad Aberdeen: dove gli uomini di rispetto (i ‘Deen’s don’, come titolò un quotidiano locale), e con le tasche piene, vengono accolti con tutti gli onori e la fanfara; e poi, lì – come succede in Germania, subito dopo la caduta del Muro di Berlino – non c’è alcuna normativa antimafia, nessuna legge come il 416 bis o per contrastare il riciclaggio. Ed è così che anche i clan di Secondigliano riescono a mettere le mani su non poche piccole e medie industrie, le comprano cash, caso mai per produrre montagne di jeans.

Amato Lamberti

Facile come bere un bicchier d’acqua: eppure da noi i ‘media’ solo da pochi anni hanno scoperto le mafie formato esportazione! E caso mai spalancano gli occhioni davanti alle collusioni di amministratori locali in Lombardia…

Altro nostro piatto forte di fine anni ’80, primi ’90: gli ecobusiness, la camorra ‘green’, i Casalesi (e non solo) che puntano le loro fiches sui traffici di rifiuti tossici.

Ne abbiamo scritto proprio qualche giorno fa quando è ‘scoppiato’ il caso Sandokan che improvvisamente, muto per oltre un quarto di secolo, ritrova per incanto la favella. E abbiamo dettagliato come già tanti ‘collaboratori di giustizia’, a partire dal 1989 (non da ieri) abbiamo riempito verbali e verbali d’interrogatorio raccontando per filo e per segno i traffici di rifiuti tossici lungo tutta l’Italia e come la Terra dei Fuochi sia diventata nei decenni la discarica più mortale d’Europa: senza che nessuno abbiamo mosso un dito, e quindi lasciando morire di cancro caterve di bambini…

In sintesi: da un lato i traffici super tossici che ammazzano. Dall’altro, svariati clan che allegramente investono nel green, nelle energie rinnovabili: non solo un mare di pale eoliche, soprattutto in Calabria, ma anche, per fare solo un esempio che documentammo negli anni ’90, nel ‘solare’ addirittura in Germania (che ha poco sole, ma tanto serve per riciclare), come hanno fatto alcuni epigoni dei cutoliani!

Dicevamo delle opere pubbliche. Una sfilza ‘controllate’ da cosche e clan di mafia, di camorra e di ‘ndrangheta, come abbiamo descritto in una infinita serie di inchieste.

Dalla Terza corsia Napoli-Roma degli anni ’70-80, agli eterni cantieri della Salerno-Reggio Calabria, con pregevole divisione delle zone mafiose di controllo: venne infatti trovata una ‘mappa’ in cui chilometro per chilometro, tratta per tratta, cantiere per cantiere appunto, veniva indicato il clan di riferimento. Un metodo davvero innovativo e scientifico!

Dell’Alta velocità abbiamo detto e ancora ci sarà da dire, visto che deve essere ancora completata la supercontestata tratta che squarcia la Val d’Aosta per sfondare in Francia: ma vi siete mai chiesti quante palate di danari pubblici sono state sperperate per il TAV quando le ferrovie secondarie, quelle regionali muoiono giorno dopo giorno e chissenefrega dei pendolari trattati come carne da macello?

Si partì proprio nel ’91 con un vagone da 27 mila miliardi di vecchie lire, lievitati – come viene documentato in ‘Corruzione ad Alta Velocità’ – a oltre 150 mila miliardi a fine anni ’90: oggi la cifra è praticamente incalcolabile, un pozzo senza fine per la gioia di costruttori e mafiosi.

E – se mai vedrà l’inizio – stesso copione, ancor peggio, con il ‘Ponte sullo Stretto’ di cui si blatera da decenni e che ora il governo sfascista – in questo caso sponsor d’eccezione il Capo Lega Matteo Salvini – vuol tenere a battesimo al massimo entro un anno.

Un’altra opera – ben poco nota in Italia – può entrare a pieno titolo tra quelle più care al mondo e anche più devastanti. Si tratta della ‘nuova’ metropolitana di Napoli, sulle cui folli performance la Voce ha pubblicato decine di reportage, coeditando anche un pamphlet al vetriolo, ‘La Metrocricca’, in collaborazione con le ‘Assise di Palazzo Marigliano’, una costola dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, uno dei pochi avamposti a tutela del patrimonio (saccheggiato) ambientale e culturale di Napoli: volumetto curato dal geologo Riccardo Caniparoli, profetico nelle sue catastrofiche previsioni sul metrò, e per questo ‘fuggito’ a gambe levate da Napoli perché non poteva più lavorarvi.

Riccardo Caniparoli

Una vera ‘galleria’ degli orrori, quel metrò: carissimo a chilometro (il doppio del Tunnel sotto la Manica, leggermente più complesso, e il triplo di quello romano, il sui sottosuolo non è meno ricco di ‘archeologia’ rispetto a quello partenopeo); un progetto iniziale inesistente (figuratevi, una tesi di laurea!); lavori partiti senza il becco di una VIA, la Valutazione di impatto ambientale obbligatoria anche per fare un terrazzino; posa della prima pietra nel lontanissimo 1976, quasi mezzo secolo fa; prime ruspe a rombare per il movimento terra quelle dei ruspanti Casalesi; lavori smistati da ‘Metronapoli’ (per anni guidata da un manager della pomiciniana Icla, Giannegidio Silva) alla crema dei mattonari napoletani; disastri ambientali a non finire nel corso degli anni, dal crollo di un’ala dello storico palazzo Guevara alla Riviera di Chiaia, fino a quello di un’intera cappella al cimitero monumentale  di Poggioreale, proprio perché le rilevazioni geognostiche vennero effettuate con i piedi. Eppure, nel resto d’Italia per tutti si tratta del metrò più bello, perché costellato, nei suoi percorsi di accesso, da opere d’arte contemporanea costate un occhio, mentre poco servono a far digerire ai viaggiatori malfunzionamenti & disservizi d’ogni sorta…

Stiamo rallentando il percorso della Voce story, ce ne rendiamo conto; e per questo diamo un colpo ‘acceleratore’, passando a temi più specifici.

 

STRAGI & DEPISTAGGI DI STATO

Abbiamo più volte puntato i riflettori su Stragi e Delitti di Stato, nonché sui relativi Depistaggi, sempre di Stato. Fatti di una gravità eccezionale e che mostrano in modo plastico come ‘questo Stato’ sia marcio fino al midollo, incapace di rigenerarsi, perché non fa i conti con la sua storia e con la sua MEMORIA, soprattutto.

Come è possibile che mai sia finito in galera alcun responsabile della Strage di Ustica? Che non si sia neanche sfiorata una vera sentenza in grade di dare un minimo di sollievo ai familiari delle 81 vittime, uccise per la seconda volta? Eppure la verità, per chi vuol vederla, è sotto gli occhi di tutti. La raccontò la Voce nel 1991, intervistando il socialista Franco Piro che parlò esplicitamente di un missile francese lanciato dalla portaerei ‘Clemenceau’; lo ribadì un agente dei servizi segreti ‘in fuga’ Alessandro Vanno, attraverso un memoriale; lo confermò perfino Francesco Cossiga prima di morire, fornendo un’analoga versione; ulteriore e documentato avallo da un’inchiesta di Canal Plusnel 2008. Basta? Eppure da noi il silenzio più tombale: giudiziario, politico e mediatico. Ma a nessuno (governi, Farnesina) è mai saltato in mente di chiedere al capo dell’Eliseo Emmanuel Macron (e ai suoi predecessori) i tracciati radar di quella maledetta notte del 27 giugno 1980?

Copione molto simile per la tragedia del Moby Prince, con delle chiare responsabilità, stavolta, americane (a un tiro di schioppo, tra l’altro, si trovava la base NATO di Camp Derby, a pochi chilometri da Tirrenia, nel pisano). Due commissioni d’inchiesta – fatto più unico che raro – hanno cavato qualche ragno dal buco: ma niente, a livello giudiziario la magistratura non ci vuol sentire, ha affossato e non vuol riaprire quel Vaso di Pandora.

 

 

E veniamo ai Delitti di Stato, che gridano vendetta.

Ne abbiamo scritto a iosa, sia sull’omicidio Moro che del duplice omicidio di Falcone e Borsellino e quello di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Tre colossali Depistaggi di Stato. Esistono le prove, che più concrete non si può, di come sono andate le cose, di chi sono i responsabili (sia dei massacri che dei depistaggi), le rituali Commissioni d’inchiesta a nulla sono servite, le inchieste giudiziarie ‘decisive’ tanto meno.

Eppure per l’omicidio dello statista Dc, Aldo Moro, che voleva il compromesso storico, c’è la clamorosa confessione dell’inviato speciale della CIA in Italia per ‘dirigere’ il Comitato di Crisi tutto piduista, Steve Pieczenick. Vuotò il sacco con Ferdinando Imposimato, autore con Sandro Provvisionato dell’illuminante ‘Doveva Morire’, di cui la Voce ha tante volte scritto.

Poi c’è la prova provata che le Brigate rosse erano state subito ‘infiltrate’ – secondo il metodo Cossiga – ad esempio con un uomo strategico come Valerio Morucci, il ‘telefonista’: proprio un reportage della Voce del 2010 documenta, carte alla mano, un suo strettissimo legame con i nostri Servizi Segreti, tanto da arrivare a scrive fondi – dopo un breve periodo di meritata galera – addirittura per una rivista, ‘Theorema’, ispirata dalle nostre barbe finte! E la Commissione parlamentare d’inchiesta guidata dall’ex Dc, poi Pd, poi niente Giuseppe Fioroni 6 anni fa non scopre niente sul giallo, ma solo che “con ogni probabilità Morucci era un infiltrato dei Servizi nelle Br”. Grande.

Giuseppe Pignatone

Eppure, per il caso Alpi, c’è una sentenza-mosca bianca, quella di Perugia, che scagionando il giovane somalo il quale da innocente s’è fatto 16 anni di galera, indica in dettaglio la strada da percorrere per processare i responsabili: ma la Procura di Roma si dimostra il solito, e ancor peggiore, porto delle nebbie, prima cercando di archiviare (con la firma del procuratore capo Giuseppe Pignatone, ora in dorata pensione al tribunale vaticano), poi con un gip, Andrea Fanelli, che da ben 4 anni non si pronuncia, non muove un dito, non archivia tombalmente né fa sapere di voler provvedere in una qualche direzione. Ai confini della realtà, tanto per cambiare.

E così pure per i due magistrati, Falcone e Borsellino, trucidati nel ’92: ancora adesso si sta celebrando a Caltanissetta l’ennesimo, inutile processo ai tre poliziotti che avrebbero depistato. Ma di pesci grossi niente, neanche l’ombra. Eppure, anche in questo caso, le prove ci sono, e nessuno vuol vedere: perché quelle verità sono deflagranti per questo ‘Stato’.

A cosa servono – se non a prendere per il culo gli italiani e soprattutto i familiari delle povere vittime – le rituali commemorazioni, le litanie di un Mattarella ormai mummificato che ripete stancamente il ritornello “dobbiamo trovare la verità”: se è anche il capo del CSM, perché mai non afferra i tori per le corna, una buona volta?

Passiamo ai misteri, i gialli che con molta passione abbiamo seguito in questi decenni.

Ne vogliamo ricordare tre, non fosse altro che per la quantità di articoli e inchieste pubblicate.

 

GIALLI & MISTERI, ‘REGOLARMENTE’ IRRISOLTI

GIALLO PANTANI – Ne abbiamo scritto per molti e molti mesi una decina d’anni fa, perché colpiti sia dalla totale inettitudine della magistratura a capirci qualcosa nella non indecifrabile vicenda, sia per la stratosferica quantità di anomalie, tra l’altro evidenziate con estrema cura dal primo legale della famiglia Pantani, Antonio De Renzis.

Una storiaccia dove c’entra la camorra fino al collo, avendo ‘scommesso’ in modo massiccio su quel maledetto Giro d’Italia ’99, con un Pantani che non doveva arrivare al traguardo; minacciando il team medico per ‘alterare’ le provette del nostro campione e facendone quindi ‘salire’ l’ematocrito (il capo equipe, lo svedese Win Jeremiasse, qualche mese dopo finisce misteriosamente con la sua auto – lui guidatore provetto – in un lago ghiacciato austriaco). E poi, 5 anni dopo, al residence ‘Le Rose’ di Rimini, dove Marco è stato ‘suicidato’, impasticcato da uomini della camorra, proprio per paura che alla fine svelasse la combine a botte di collusioni & milioni.

Come mai le toghe riminesi prima, forlivesi poi, e quindi napoletane (perché alla fine se ne incaricò la Direzione distrettuale antimafia partenopea, visto che c’era implicata la camorra e che parecchi pentiti avevano già verbalizzato sul giallo del Giro taroccato) non si sono accorte di nulla? Eppure, anche stavolta, di verbali e, soprattutto, di prove documentali ce n’erano a bizzeffe.

Ora è partita, sempre a Rimini, l’ennesima inchiesta, grazie ad alcune ulteriori prove raccolte soprattutto dalla madre del campione. Ma già in molti prevedono l’ennesima archiviazione. Vergogna.

 

David Rossi

GALLO ROSSI – Come grida vergogna il fatto che, dopo 10 suonati, anzi 11, fino ad oggi non sia stato accertato niente di niente da altre toghe, stavolta senesi, per l’omicidio (è meglio chiamarlo col suo nome, del resto lo abbiamo scritto decine di volte) del responsabile delle relazioni esterne per il Monte dei Paschi di Siena, David Rossi. E proprio poche settimane fa si è insediata la terza (avete capito bene, terza!) Commissione parlamentare d’inchiesta, chiamata a completare il lavoro – rimasto a metà – della seconda. Anche stavolta l’informazione zitta e muta, allineata e coperta per non disturbare i magistrati (che per ben due volte hanno archiviato il caso) e quella massoneria che nella zona detta legge, in un perfetto ‘Groviglio Armonioso’. Del resto proprio ad un anno del volo di David dal quarto piano di palazzo Salimbeni, venne eletto il Gran Maestro del GOI Stefano Bisi, giornalista che ben conosceva David, e appena arrivato al termine del suo mandato: il successore è stato ‘eletto’ un mese fa tra mille polemiche interne e carte bollate che fanno presagire una spaccatura nel Grande Oriente.

Anche nel giallo Rossi, ci sono una montagna di anomalie mai prese in considerazione: dalla dinamica del ‘volo’, ai segni di ferite sul corpo, nonché di trascinamento dello stesso, fino ai due brevi messaggi lasciati (chiaramente segno di coercizione), alla presenza di un misterioso personaggio immortalato dalle telecamere esterne, al telefonino di David e, last but not least, il fatto che l’indomani il responsabile pierre doveva andare in procura per una verbalizzazione clou di cui aveva informato i suoi vertici. Ancora e sempre buio assoluto. E nessun responsabile mai.

GIALLO SCHWAZER – Dicevamo i media. Solo le IENE e noi della Voce abbiamo seguito passo passo i gialli Pantani e Rossi. Così come quello che vede in pista – è il caso di dire – il nostro campione di marcia Alex Schwazer. Le coraggiose ‘Iene’, infatti, proprio una decina di giorni fa hanno mandato in onda un lunghissimo (un’ora e mezza) speciale sul caso: per filo e per segno (con qualche ovvia novità) tutto ciò che la Voce ha dettagliato in ben 18 articoli e inchieste, tutti scritti nel corso del 2017 e costati una causa intentata dal colosso internazionale dell’antidoping, WADA, che si è sentita profondamente offesa dai nostri ‘profetici’ pezzi.

Alex Schwazer e Sandro Donati

Che hanno avuto, infatti, una sola, gigantesca responsabilità: quella di ‘anticipare’ – nel senso più letterale del termine – quanto poi accertato, messo nero su bianco, 4 anni dopo, con l’ordinanza di febbraio 2021, dal gip del tribunale di Bolzano Walter Pelino. Se leggete (l’abbiamo più volte riportata) i passaggi salienti di quel ponderoso lavoro (89 pagine) e confrontate con quanto scritto nei 18 pezzi pubblicati dalla Voce, non troverete alcuna dissonanza.

Quindi, la sentenza resa nota nelle sue motivazioni a gennaio 2024, neanche tre mesi fa, ci condanna non per aver scritto falsità (tutto accertato e documentato in modo perfetto, è costretto ad ammettere il giudice della prima sezione penale del tribunale di Napoli, Cristiana Sirabella), ma per aver anticipato i fatti, il contenuto di quella ordinanza: avevamo forse una sfera di cristallo? O ce lo aveva suggerito qualcuno?

E chissenefotte del giornalismo d’inchiesta, che una recentissima sentenza della Cassazione (è della primavera 2023) tutela in modo particolare. Come mai quella sentenza il tribunale di Napoli la dimentica: forse non l’hanno neanche letta o capita?

  1. S. Come per questa, così come per tutte le altre story raccontate prima, al solito vi invitiamo – per saperne di più su personaggi e sigle citate – di consultare l’archivio della Voce; si tratta di andare alla casella CERCA in alto a destra della nostra home page e digitare nome e cognome del personaggio (ILARIA ALPI o PAOLO BORSELLINO, DAVID ROSSI o ALEX SCHWAZER e così via) oppure la sigla o il riferimento base (WADA oppure USTICA o MOBY PRINCE o METROCRICCA) per ritrovare inchieste su tanti, troppi fatti che non hanno mai avuto una risposta giudiziaria. E quindi servono per non far morire, almeno, la MEMORIA

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