I DISASTRI DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA IN SANITA’

La Fondazione GIMBE da anni registra ed elabora i dati prodotti dal servizio sanitario nazionale per valutarne il funzionamento. Produce un report annuale che quest’anno si è sviluppato attorno alla domanda “che sarà della sanità al sud dopo l’approvazione della legge sull’autonomia differenziata?”.

La risposta è semplice e il suo presidente Nino Cartabellotta ha provato a spiegare cosa potrebbe accadere. La prima conclusione è quella che il nostro SSN, per sopravvivere, dovrà funzionare con meno medici, meno infermieri, con liste di attesa sempre più lunghe e dovrà far fronte a costi molto più alti che, difficilmente, potranno essere sostenuti con le risorse che attualmente il governo destina alle regioni. I dati che la Fondazione dimostrano che l’Autonomia Differenziata (AD) “creerà il collasso del sistema sanitario nelle regioni del Sud” e il suo presidente si sbilancia oltre definendo “grottesche e autolesionistiche” le posizioni di quei governatori meridionali che stanno appoggiando apertamente quella riforma.

Il rapporto illustra i rischi contenuti in una riforma, voluta dal governo Meloni e in particolare dalla Lega, che si fonda sulla volontà di consentire a ogni regione di gestire direttamente la sanità sul proprio territorio. Il pericolo però è nelle enormi differenze che oggi si registrano tra le Regioni più ricche del nord e quelle più povere del sud. Queste differenze non solo non potranno essere colmate dai fondi disponibili, ma aumenteranno a dismisura. Ed a poco valgono le attuali osservazioni dei parlamentari eletti nelle regioni meridionali che la difendono affermando che il temuto collasso non avverrà grazie al lavoro che stanno facendo in commissione per definire i LEA e le prestazioni sociali e sanitarie esigibili, ovunque e da tutti i cittadini. Lavoro che, come una tela di Penelope, non avrà mai fine e costringerà infine la politica ad accontentarsi di quel poco che si potrà fare, aumentando disagio e mancate cure per quella parte del paese che, oggi, registra già quasi due anni aspettativa di vita in meno a causa di prestazioni negate o per carenza di strutture e adeguate tecnologie.

Il presidente della Fondazione ha previsto, in sede di presentazione del suo report annuale, che l’autonomia differenziata porterà “al collasso” la sanità in tutte le Regioni meridionali. In una recente intervista concessa a fanpage.it, ha spiegato nel dettaglio cosa intendeva dire ed ha voluto chiarire quali sono esattamente i pericoli della riforma. “… con l’autonomia differenziata – ha detto – le Regioni potranno trattenere una parte del gettito fiscale che, quindi, non verrebbe più redistribuito su base nazionale, impoverendo così le risorse destinate a garantire i servizi nel Mezzogiorno. L’autonomia differenziata quindi congelerà il divario tra Nord e Sud”. Ma, aggiungiamo noi, aumenterà notevolmente anche il fenomeno della migrazione sanitaria nella direzione sud-nord, spostando ulteriori risorse su quell’asse a causa della legittima ricerca da parte dei pazienti meridionali di strutture idonee alla cura delle patologie più gravi. Non crediamo che, allo stato delle cose, esistono condizioni per invertire la tendenza, anche perché i migliori giovani professionisti, guardano al nord o all’estero alla ricerca di un giusto riconoscimento alle proprie capacità e competenze o solo per ottenere migliori retribuzioni e possibilità di carriera utilizzando tecnologie moderne adeguate alle attuali conoscenze scientifiche.

Appare quindi più che motivata la considerazione, fatta dall’on. Zampa del PD, che afferma in Parlamento “… chi nasce al Sud vive meno di chi nasce al Nord e l’autonomia differenziata peggiorerà questo dato”.

Ma la cosa peggiore ci sembra risieda nella considerazione che una maggiore autonomia avrà ricadute anche in termini di contrattazione sindacale del personale, cosa che provocherà un’ulteriore fuga di professionisti verso le Regioni più ricche che saranno in grado di offrire le condizioni retributive più vantaggiose, impoverendo ulteriormente il Sud. Questa disparità di risorse produrrà un numero minore di borse di studio da attribuire alle scuole di specializzazione e quindi meno laureati da destinare alla medicina generale e una minore formazione di specialisti e di medici di famiglia. E produrrà anche una maggiore autonomia sul sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione che contribuiranno a rendere profondamente diversi i sistemi sanitari regionali, che funzioneranno ognuno con regole proprie agevolando l’avanzata del privato che sarà messo in condizione di sottrarre ancor più risorse alla sanità pubblica contribuendo ad impoverire sempre più la sua capacità di erogare buone prestazioni. Il SSN entrerà così in un circolo vizioso che spingerà sempre più pazienti a rivolgersi ad un privato costoso o a migrare in altre regioni meglio gestite capaci di offrire cure adeguate.

Quali saranno allora le conseguenze per i cittadini, bisognosi di cure, residenti nelle regioni meridionali? Certamente si troveranno di fronte a interminabili liste d’attesa sia per ricevere prestazioni sanitarie che visite specialistiche e, forse, dovranno pagarle di tasca propria sino all’impoverimento della famiglia e alla rinuncia alle cure, troveranno inoltre Pronti Soccorsi Ospedalieri affollatissimi, nei quali incontreranno altri utenti sempre più insofferenti e aggressivi. Non sarà possibile trovare medici o pediatri di famiglia e, naturalmente, assisteremo ad un ulteriore aumento della migrazione sanitaria.

Ma il rischio peggiore che corriamo è che anche le ricche Regioni del Nord, di fronte ad una prevedibile crisi di sostenibilità, non riusciranno ad aumentare la loro capacità di erogare servizi e prestazioni sanitarie per far fronte alle nuove richieste, da aggiungere a quelle dei residenti. Ciò produrrà, contemporaneamente ad un ulteriore indebolimento dei servizi sanitari al Sud, anche il rischio di “ingolfare” i servizi del nord, peggiorando la qualità dell’assistenza per tutti. Ciò potrebbe indurre reazioni xenofobe o di stampo razzista. Ne abbiamo una parvenza di prova dai dati del 2021 della regione Lombardia, al primo posto per mobilità attiva, che però si posiziona anche al secondo posto per mobilità passiva. A riprova che un alto numero di cittadini lombardi va a farsi curare fuori Regione.

Insistere sul processo di attuazione dell’autonomia differenziata quindi non risolve problemi ma ne produce altri più gravi. La proposta di escludere la “tutela della salute” dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiore autonomia è certamente valida ma, ad oggi, non è stata sostenuta neanche dalle forze di opposizione.

Un SSN pubblico, equo e universalistico, finanziato dalla fiscalità generale, costituisce ancora a nostro avviso, una conquista sociale irrinunciabile e un pilastro della nostra democrazia, ma allo stesso tempo è anche una leva di sviluppo economico per tutto il Paese. Ma non si intravede all’orizzonte né la volontà di rilanciare il finanziamento pubblico, né iniziative coraggiose in grado di restituire al SSN la sua mission originale osserviamo, invece, un lento scivolamento verso ventidue sistemi sanitari regionali diversi tutti basati sulle regole del libero mercato.

 

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