Anteprime – Giulio Caporaso parla del suo libro “Il potere dei morti” con titolo e prefazione di Mogol

Lucio Battisti: “Un canto universale per la salvezza del mondo”

 

Un lungo viaggio nei confini dello Spirito, una ricerca appassionata dei fini ultimi vissuta nel segno della grande musica e del sogno. Si potrebbe sintetizzare così il nuovo libro di Giulio Caporaso, giornalista e scrittore, aperto dal una illuminante prefazione di Mogol, che ne ha prescelto anche il titolo immaginifico: “Il potere dei morti”, appena uscito per Minerva Edizioni.

In anteprima per la Voce, Giulio Caporaso ci conduce lungo il fil rouge che indica la via di questo percorso, così come è raccontato nel suo libro.

Partiamo dal titolo: nel libro lei e Mogol sostenete che i morti hanno un grande potere, molto più vasto di ciò che noi possiamo immaginare. Quali indizi avete avuto per giungere ad una affermazione così sbalorditiva?

Il titolo è una sintesi lampante del cammino spirituale compiuto da me e da Mogol fin da quando, nel gennaio 2000, ho incontrato per la prima volta questo immenso artista.

Quale fu l’occasione del vostro incontro?

Mogol lo ha ricordato più volte: gli era stato trasmesso da un’amica per fax l’articolo del giornale che dirigevo, “Firma”, in cui raccontavo nei dettagli la visione onirica di Lucio Battisti che avevo avuto nella notte del 12 settembre 1998, dopo aver partecipato come spettatore, insieme alla mia famiglia, ad un concerto oceanico in piazza del Campidoglio, a Roma, organizzato per ricordare il cantautore scomparso da pochi giorni.

 

Giulio Caporaso con Mogol. In alto, sulla copertina del libro, un acquerello di Massimo Pennacchini

 

Che cosa le diceva Battisti nel sogno?

Mi parlava dell’amore universale, diceva che le sue canzoni erano tutte rivolte a lodare Dio. Poi mi invitava a raccontare questa nostra visione e a trasmettere il suo messaggio: chiedeva che chi lo aveva amato elevasse preghiere all’Altissimo per la sua anima.

E’ da questo sogno che ha avuto origine la canzone L’Arcobaleno?

In qualche modo sì. Infatti, come Mogol ha raccontato fin dalla prima intervista del 15 gennaio 2000, andata in onda a TG2 Dossier, nelle stesse ore in cui riceveva per fax l’articolo di “Firma”, alla sua segretaria arrivava la telefonata di una insegnante italiana che viveva in Spagna, la quale affermava di avere avuto una analoga visione di Lucio Battisti. Ma vi furono anche altre circostanze, altre coincidenze significative…

Ad esempio?

Mogol spiega nel mio libro che gli sembrava un’idea assurda quella di scrivere una canzone dopo aver ricevuto queste due testimonianze, pur se quasi contemporaneamente. Aggiunge che i suoi versi nascono interpretando la musica, e quella volta la musica non esisteva ancora. Poi però quella musica arrivò, quasi subito.

In che modo?

Aveva già in programma di recarsi in casa di Adriano Celentano e Claudia Mori per parlare di nuovi brani, ma lì trovò Gianni Bella, che aveva in tasca una cassetta con una musica appena composta, bellissima. Tornando a casa in auto, mentre guidava, Mogol dettò alla sua accompagnatrice i versi dell’Arcobaleno in pochi minuti, nel breve tratto da Milano a Lodi. Da allora, suggellato dalla magia di questa canzone, il mio legame spirituale con Giulio Rapetti Mogol non si è mai interrotto, grazie anche alla comune ricerca del senso profondo della vita e della morte, quel “sapere dove andrò”… che risuonava già, in forme diverse, anche nelle sue precedenti canzoni, di cui nel libro narro la genesi, la storia vera.

Lei racconta nel libro che ha incontrato Papa Giovanni Paolo II e di come Mogol ha donato un suo aforisma a Papa Francesco. E’ dunque dentro i confini del cristianesimo che si è evoluta la vostra ricerca?

Certo, ma non solo. Un capitolo, ad esempio, è dedicato al “Libro tibetano dei morti”, con brani da quella straordinaria introduzione in cui il Dalai Lama mostra come alcuni recenti approdi della Fisica riportino inequivocabilmente a quanto era già contenuto in quel testo sacro dell’Ottavo secolo…

E’ qualcosa di simile a tutto questo, quel “Potere dei morti” di cui parla nel suo libro?

Mogol parte da una grande intuizione: l’ignoto esiste e non possiamo far credere a noi stessi che non esista. Da qui la sua ricerca, che è anche la mia, l’incessante esplorazione dentro i valori del cristianesimo, come la Resurrezione, ma anche oltre.

Nel libro infatti lei parla anche di “altre” resurrezioni… Ce ne sono state altre?

Racconto le resurrezioni operate da San Francesco, rappresentate in parte anche da Giotto e poco conosciute, benché riportate anche nelle Fonti Francescane.

Qual è allora il messaggio principale che ha inteso trasmettere con questo libro? E’ un messaggio evangelico, cristiano?

Il messaggio più profondo è legato al secondo sogno di Lucio Battisti.

Il secondo sogno? Quando?

L’8 dicembre 2020, giorno dell’Immacolata Concezione, è tornato a parlarmi nel corso di una visione onirica per consegnarmi un secondo, grande messaggio: quello di riuscire a far elevare contemporaneamente in tutto il mondo, da uomini e donne di ogni credo, fede o religione, un canto universale per la pace, per la salvezza dell’umanità. E mai come in questo periodo ce ne sarebbe davvero un disperato bisogno. Fu proprio dopo aver ascoltato questo mio secondo sogno che Mogol ebbe l’illuminazione sullo straordinario potere dei morti e lo ha trasmesso a me, affinché diventasse la vocazione e il titolo di questo libro. Tanto che mi ha definito “testimone dell’incredibile”…

Una preghiera universale. Come pensa di poterci riuscire?

Questo è esattamente lo scopo principale del libro: rivolgere a Papa Francesco l’appello che ci ha lasciato Lucio, perché solo un grande pontefice come lui potrà riuscire a realizzarlo, riunendo in un unico momento di preghiera le fedi di tutta la terra.

In che modo si svolgerebbe questo momento di preghiera universale? 

Sarebbe un evento mai realizzato nella storia dell’umanità. L’induista, il musulmano, il cristiano, chiunque nel mondo rivolga la preghiera al suo Dio, potrà farlo nello stesso momento corale, universale, potenziando così la forza sprigionata dalla preghiera, che è straordinaria. Nel libro racconto anche i risultati prodigiosi di questa forza, misurati da alcuni ricercatori. Ricordo quel brano del Vangelo di Matteo in cui Gesù dice: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”.  Immagini cosa potrà accadere se a riunirsi nel nome di Dio, ciascuno del proprio Dio, saranno tutti i credenti del mondo…

Il suo è un libro affascinante, perché si muove lungo le impervie vie dello Spirito e dell’anima. Qual è stata la motivazione profonda che l’ha indotta a scriverlo? 

Credo fermamente al valore della testimonianza, al dovere del buon cristiano di mettere a frutto i talenti che ha ricevuto dal Signore per il bene comune. Ed è quello che ho fatto. Nello scrivere è emerso questo messaggio sulla preghiera universale, che è diventato lo scopo vero del libro, perché Mogol ed io crediamo profondamente nella forza della preghiera e mettiamo in pratica questo principio tutti i giorni, sia lui, che lo racconta anche nel libro, sia io. Non è stato facile arrivare a quest’opera compiuta, che oggi abbiamo tra le mani. Devo ringraziare chi mi è stato vicino per realizzarlo, dopo anni di studio. La mia famiglia, ma anche la casa editrice, in particolare la direttrice della Collana Sinergie di Minerva, Piera Vitali, che per prima ha creduto in questo mio lavoro, e la curatrice Rita Pennarola, giornalista, che mi ha sostenuto nelle ricerche. Ma più di tutti ringrazio Mogol, sono grato a Dio per il bene prezioso di averlo come amico e compagno di viaggio.

 

 

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