IL RACCONTO DI FERRAGOSTO / Don Raffaele, 15 agosto 2023

La testa china sul petto, il ventre gonfio, le gambe disarticolate, un filo di saliva da un lato della bocca spalancata per respiri faticosi. Benedetto gli si accosta, silenzia il cellulare che gli rimanda l’intensa suggestione del finale di ‘Felicità’ a due voci, quasi un sussurro di Fiorella Mannoia e Ron. “Aahhhh, felicità, su quale della notte viaggerai… lo so, che passerai, ma come sempre in fretta non ti fermi mai”.

Quanti anni avrà questo povero vecchio, che storia è la sua?  Sembra morto. Di vecchiaia? Certo di povertà e del caldo torrido che aggredisce la fragilità di cuori stanchi di battere, feriti dall’anticiclone ‘Nerone’, imperatore bislacco che incendiò Roma in piena estate avvolgendola in una bolla di estate africana. Forse è solo svenuto. Lo chiamo “Signore?”. Nessun segno di vita. Niente. Gli tocco un braccio dov’è scoperto, oltre la camicia di pesante flanella (…con questo caldo), malamente arrotolata oltre il gomito. Niente. Se n’è andato, in un pomeriggio di Napoli che non gode di fresche brezze, neppure qui, su questa panchina della Villa Comunale a pochi passi dal mare. Dal taschino della camicia sporge qualcosa come un portafoglio. Dentro una carta d’identità e piegato in quattro un foglio di quaderno a righe. Ecco, si chiama… si chiamava Raffaele, Raffaele Contursi, nato a Napoli il due di gennaio del 1942. In un angolo, appena decifrabile il numero di un telefono fisso. “Pronto?”. Angela è la figlia, ha una voce stanca, decisamente dialettale: “Conosce Raffaele Contursi?” “M’è padre, pecché?”. Dopo nemmeno dieci minuti è qui, accanto al vecchio esanime. Chiamo un taxi, lo solleviamo a fatica dalla panchina e con una corsa breve lo portiamo in casa della figlia, una specie di ampio garage adattato ad abitazione. Nella zona della ‘Torretta.

Non piange Angela, lacrime ne ha versate troppe, da sempre. I suoi cinquantasei anni vissuti male l’invecchiano precocemente. “Raffaele (ne parla come non fosse il padre) non è stato più bene dopo il Covid. Problemi di cuore, ‘na brutta tosse, respirava male. È voluto ascì pe’ forza, col caldo che fa. Non stava più a sentire a nessuno”. “Era pensionato?”. “Pensionato? E de che. Teneva ’nu piccolo negozio, comprava e vendeva ’e giurnalette. Topolino, Tex, comme se chiamma, Tex Uillere. Ha dovuto chiudere per il covid, lui stesso se l’è preso, ma proprio brutto. Gli volevano tutti bene, era un uomo generoso, faceva bene”. “E come?” “E comme v’aggia dicere, s’è inventato lui il fatto del paniere. Dopo il terremoto lo riempiva di pane, pasta, frutta e lo calava con il biglietto “Chi può dia, chi non può prenda”. Sua invenzione anche o il ‘caffè pagato’, Mò ca nun non puteva fare di più, ha trovato lo stesso come aiutare gli altri. Ha saputo che gli handicappati avevano serie difficoltà per ripararsi dal sole nelle spiagge libere di via Caracciolo e ha rimediato recuperando sdraio e vecchi ombrelloni abbandonati nel deposito di un Lido che sta all’inizio di via Posillipo. È stato di esempio per il Comune, che ha impiantato nella sabbia docce gratuite e ha messo sedie da spiaggia per gli handicappati. Raffaele aveva molti amici, ma specialmente era legato a Carmelo, produttore artigianale di caramelle nel quartiere Vomero. A chillu sant’ommo i francescani, proprietari di un ampio locale in piazza del Gesù glielo hanno ceduto a gratis e Carmelo lo ha trasformato in un vero ristorante per poveri. Ogni giorno, Natale e Pasqua compresi, offriva a clochard e nuovi poveri un pasto completo, qualcosa per la cena da portare via e d’inverno cappotti giacconi, coperte. Qualcuno degli ospiti borbottava quando Carmelo, prima di servire il primo piatto, chiedeva a tutti di ringraziare Gesù in preghiera. Rafele, quando poteva, era il suo lavapiatti”.

A un silenzio carico di tristezza si aggiunge la processione di amici e parenti che hanno saputo. In punta dei piedi Carmelo si affaccia sulla porta d’ingresso, si avvicina ad Angela, l’abbraccia. “Se n’è andato un grande amico, un cuore d’oro, quasi un fratello”. Una donnetta che da giovane si era innamorata di Raffaele, ha il volto smunto rigato di lacrime, il nipote, Vincenzino, racconta alla sorella che anche quando le gambe lo reggevano a stento, il nonno nel cortile del suo palazzo tirava calci al pallone ‘Santos’ per farlo contento e gli raccontava come si diventa campioni, di Maradona, della correttezza sportiva.

A notte, nella stanza da letto dove c’è il corpo senza vita del padre, Angela, che si adatta a dormire su una poltrona, piange, e dal cuore le arriva il ricordo di quando bambina le piaceva da morire starsene seduta sulle ginocchia di papà Raffaele per ascoltare sempre la stessa favola di Pinocchio e addormentarsi beata tra le sue braccia.


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