Fare più che dire

È nell’aria da tempo. Raduni fascisti, celebrazioni di Mussolini, saluti a braccio levato, esplicite manifestazioni di rigurgiti del Ventennio, assalto generale a ruoli di potere, all’intero sistema dell’informazione, epurazioni, complicità con la destra eversiva, contiguità con regimi antidemocratici. Ognuno di questi attentati alla Costituzione sono impuniti e perciò in pericoloso crescendo. Sconcerta l’inerzia tollerante della magistratura, è da analizzare e trasformare in interventi operativi l’improduttiva opposizione democratica alla destra. Contro la verità accertata, autorevolmente certificata dal presidente della Repubblica, tale De Angelis, un passato da estremista nero, responsabile della comunicazione istituzionale del Lazio, spara l’indecente menzogna sull’innocenza di Fioravanti, Mambro e Ciavardini, condannati perché esecutori della strage della stazione di Bologna, prologo di un programmato colpo di Stato della destra. Ecco un caso per il Pd di protestare. Lo hanno fatto Lepore, sindaco di Bologna: “Il presidente della Regione Lazio prenda le distanze e valuti se dimetterlo”. Bonaccini, governatore dell’Emilia: “De Angelis è ignobile e bugiardo. Venga a dirle a Bologna queste cose. Guardando negli occhi i familiari delle vittime della Strage fascista del 2 agosto” Bene, ma non basta. La Schlein trovi il modo per ottenere dalla Meloni il primo provvedimento di dimissioni ed espulsione di un neofascista dalle istituzioni democratiche. Chissà? Facessero da apripista per le successive della ministra Santanchè?  Federica Mazzoni, segretaria provinciale dem: “Cosa dice la presidente Giorgia Meloni? Silenzio assenso e complicità”. A Bologna, per la commemorazione della strage, “Yo soy Giorgia” non si è fatta vedere. Alemanno, ex sindaco di Roma della destra, pronto a fondare un movimento alternativo a Fratelli d’Italia, si è schierato con De Angelis. Lodi per “il coraggio del giornalista che aveva diretto il mensile Area della ‘sua’destra sociale”. È tempo di silenzi o di grida?

Nessuna ipotesi in chiaro sulla notizia della morte di Luca Ruffino. La Procura milanese della Repubblica dice e non dice. Rende nota l’apertura di un’indagine per reato di istigazione al suicidio ma l’avvolge di mistero, non rivela le ragioni dell’ipotesi che avrebbe indotto il presidente di Visibilia Editore, a togliersi la vita. Per il momento è labile il sospetto che non si tratti di suicidio, ma di un mezzo estremo per evitare che Ruffino fosse costretto dagli inquirenti a spiegare le irragionevoli motivazioni di acquisto di un’impresa, qual è la Visibilia, gestita con gravi irregolarità, fondata dalla ministra Santanché e con i conti in rosso quando se n’è liberata. Tra i soci di minoranza c’era anche chi si è chiesto perché si acquistasse una società gravata da debiti con il fisco e l’istituto di previdenza, su cui pendevano un esposto per gravi irregolarità nella gestione e operazioni finanziarie illogiche. Visibilia aveva chiuso il 2022 con un margine operativo lordo negativo di 838.934 euro e a fine anno l’esercizio si era assestato con una perdita di circa 1,3 milioni di euro, ossia più di un quarto del fatturato.  Ruffino, ecco l’ipotesi formulata a caldo, si sarebbe ucciso con la pistola regolarmente detenuta. Ha lasciato un biglietto ‘di saluto’ per i familiari: in piena libertà o costretto?


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