PRESIDENZIALI IN TURCHIA A MAGGIO / GLI STATI UNITI VOGLIONO CACCIARE ERDOGAN 

Maggio bollente per la Turchia. E forse anche per i destini di tutto il mond

Il quel paese, infatti, si svolgeranno le elezioni presidenziali.

A contendersi la poltrona di numero uno della nazione saranno l’uscente Recep Erdogan e il suo avversario, Kemal Kilicdaroglu.

Dall’esito del voto turco dipenderà molto non solo sugli strategici equilibri in tutto il Medio Oriente, ma anche non poco sul conflitto ucraino. E, a catena, l’elezione di uno o dell’altro dei contendenti avrà un peso basilare nei rapporti con l’Occidente, con la NATO, con il sempre più compatto blocco orientale basato  sull’intesa di ferro tra Cina e Russia, sempre più intenzionate ad allargare la sfera d’influenza dei BRICS (acronimo di Brasile-Russia-India-Cina-Sudafrica) sotto il profilo dei rapporti di cooperazione finanziaria, economica e commerciale.

E un tassello strategico in questo mosaico è rappresentato proprio dalla Turchia, fino ad oggi nella NATO, ma con un domani che potrebbe tingersi di diversi colori. Soprattutto se ad uscire di nuovo trionfatore dalle urne fosse l’inossidabile Erdogan, che fino ad oggi è riuscito a tenere il classico piede in due staffe con una grande abilità politica e diplomatica: riuscendo, con acrobazie da vero equilibrista, a mantenere ‘rapporti’ sia con gli Stati Uniti che con la Russia. Ma non i primi, ossia con la Casa Bianca, la tensione è in fase crescente.

Kemal Kilicdaroglu. Sopra, Erdogan

Proprio per questo gli Usa puntano le loro fiche sulla vittoria dell’avversario, ben più malleabile, di certo super-fedele all’Alleanza Atlantica.

Per avere un termometro preciso della situazione e misurare la ‘temperatura’ crescente nel paese, nonché per palesare le tensioni che aumentano giorno dopo giorno a Washington, vi proponiamo la lettura dei passaggi salienti di un intervento firmato Sinan Ciddi, professore associato dell’Università ‘Marine Corps’, e appena pubblicato sul sito di ‘Defence One’ che esprime la visione dell’establishment Usa e del suo apparato militare.

Vedrete quante ne racconta sull’inaffidabile, a suo parere, Erdogan.

Parte sparato Ciddi: “Dopo 21 anni al potere, mentre un riavvicinamento tra Stati Uniti può essere possibile, non può avvenire fino a quando il presidente Recep Erdogan non lascerà l’incarico”. Apodittico, il super esperto di cose turche.

Che subito aggiunge: “In parole povere, Erdogan non condivide alcuno dei valori che definiscono e sostengono l’alleanza transatlantica di cui la Turchia era un membro integrale e fidato”.

“Era”, scrive Ciddi, mentre ancora oggi la Turchia fa parte della NATO…

Sinan Ciddi

E così l’analista spiega i motivi della frattura sempre più insanabile tra gli Usa ed Erdogan: “Per prima cosa, la Turchia non ha mai visto un leader e un governo così anti-occidentali e anti-americani fino in fondo. Erdogan incolpa gli Stati Uniti per il fallito colpo di stato del 2016 che lo ha quasi deposto, anche se sa che non è vero. I membri del suo gabinetto, come il ministro degli interni Suleyman Soylu, denigrano sistematicamente e inaccettabilmente gli Usa davanti al pubblico turco. Il mese scorso, Soylu ha accusato gli Stati Uniti di aver ideato l’attentato di novembre a Istanbul e ha detto a Washington ‘di togliersi le mani sporche dalla Turchia’. A seguito dei devastanti terremoti che hanno colpito la Turchia all’inizio di febbraio, Soylu ha rifiutato parte dell’aiuto offerto ad Ankara dalle forze armate statunitensi. La Turchia ha negato ad una portaerei statunitense il permesso di attraccare nel porto di Iskenderun, dove ha cercato di fornire acqua potabile pulita e altri aiuti ai cittadini turchi, citando una teoria del complotto secondo cui la portaerei faceva parte di una forza d’invasione”.

Continua l’impietosa diagnosi dei reali rapporti tra i vertici della Casa Bianca e l’esecutivo turco: “Sebbene Erdogan e i suoi ministri possano personalmente avere il diritto alla loro visione del mondo antiamericana e antioccidentale, hanno fatto affidamento su tali persuasioni per allontanare decisamente la Turchia dal suo ancoraggio occidentale. All’inizio del 2019, la Turchia ha preso in consegna un sistema di difesa missilistica S-400 di fabbricazione russa, minacciando direttamente l’interoperabilità e la coesione della NATO. Ankara è stata ripetutamente avvertita di non acquisire questo sistema e di acquistare invece il suo equivalente americano o europeo. Da allora Erdogan ha avuto numerose opportunità di liberarsi degli S-400, in particolare dall’inizio del conflitto ucraino, dove Ankara avrebbe potuto ‘donare’ i missili alle forze ucraine che pretende di sostenere”. Ma così non è stato.

Prosegue Ciddi: “A livello geostrategico, Erdogan parla al vetriolo  della partnership di Washington con i curdi siriani, che continuano a combattere i resti dello Stato islamico, o ISIS, nel nord della Siria. Contrassegnandoli in modo poco convincente come ‘terroristi’, Erdogan minaccia la stabilità regionale bombardando ripetutamente obiettivi curdi e mettendo in pericolo la vita del personale di servizio statunitense che fornisce assistenza a una forza combattente che cerca di eliminare una grave minaccia terroristica nella regione”.

“E ancora. Erdogan ha utilizzato la posizione della Turchia come membro della NATO per minare gli interessi dell’Alleanza. Nonostante abbia inizialmente segnalato di essere favorevole all’adesione di Finlandia e Svezia nel 2022, Erdogan ha gettato ogni ostacolo sotto il sole per ritardare l’allargamento della NATO, chiedendo irragionevoli concessioni relative alla ‘sicurezza’ a due paesi che sono candidati ideali per limitare ulteriormente le azioni aggressive russe. Venerdì 17 marzo Ankara ha rimosso la sua opposizione alla domanda della Finlandia, ma continua a bloccare quella della Svezia”.

E si avvia alle conclusioni: “Eppure, il più grande ostacolo al riaccendere legami sostanziali turco-americani è lo stesso Erdogan. Sebbene una volta il presidente Obama abbia attribuito a Erdogan il merito di aver costruito un ‘paese modello’, dalla fine degli anni 2010 il leader turco si è lentamente trasformato in una minaccia transnazionale che è un insulto al governo democratico in tutto il mondo. Dal colpo di stato del 2016, Erdogan ha eroso i fondamenti dello stato di diritto, della decenza comune e del governo democratico all’interno della Turchia. I legami che legano gli Stati Uniti al Regno Unito, all’Australia, alla Francia e a innumerevoli paesi non si basano su un numero limitato di interessi di sicurezza transnazionale, ma sul rispetto di norme e valori democratici. Erdogan vuole tutti i vantaggi di essere un partner strategico degli Stati Uniti mentre consolida un regime autocratico”.

E l’attacco finale: “Se gli elettori turchi eleggeranno Kemal Kilicdaroglu quale successore di Erdogan come presidente a maggio, la Turchia avrà un’autentica opportunità di ricostruire un rapporto sostanziale, non solo con gli Stati Uniti, ma con tutti i suoi partner occidentali. Dall’altro, se Erdogan dovesse essere rieletto, cercherà di attuare un ripristino dei rapporti con l’Occidente. Gli Stati Uniti non dovrebbero accontentarsi di un cattivo alleato”.

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