Vera pandemia d’informazioni, negli Usa, a proposito dei possibili sviluppi del conflitto in Ucraina e, soprattutto, sulla concreta (o meno) possibilità che si aprano finalmente dei negoziati, delle trattative serie tra gli Stati Uniti e la Russia. Scenario reso ancor più complesso e intricato dalle fresche elezioni di midterm che con ogni probabilità consegneranno agli americani un Congresso spaccato a metà e un già claudicante Joe Biden letteralmente azzoppato.
Vediamo quindi le prospettive che alcuni analisti e media a stelle e strisce avanzano in queste frenetiche ore.
Partiamo da una articolata e stimolante disamina effettuata da William Moloney per un sito sempre ben aggiornato, ‘The Hill’. Eccone gli stralci più significativi.
“Un recente articolo di Jeffrey Sachs, ‘L’Ucraina è l’ultimo disastro NeoCon’, cataloga le ‘guerre di scelta’ statunitensi – Serbia (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003), Siria (2011), Libia (2011) – nelle quali i neoconservatori furono i principali architetti. Tutto è finito male, lasciando un’eredità di caos e sfiducia che ha devastato il Medio Oriente. Sachs conclude lamentandosi del fatto che molti di questi stessi individui sono tornati per il bis nell’amministrazione Biden, dove stanno conducendo una pericolosa politica ucraina che potrebbe essere la loro peggiore disavventura mai vista”.
Prosegue Malone: “In un articolo correlato, titolato ‘Washington Whoopers on the War in Ukraine’, Ted Galen Carpenter sostiene che gli Stati Uniti stanno ‘volando alla cieca’ in un pericoloso ambiente di minaccia nucleare, perché né il governo né i media mainstream stanno raccontando una storia accurata sulla realtà della guerra in Ucraina. In particolare, sfonda i miti gemelli dell’invasione russa ‘totalmente non provocata’ e dell’Ucraina come ‘modello di democrazia’. Osserva che la campagna statunitense guidata da eminenti ‘neocon’ in 25 anni per espandere la NATO fino al confine con la Russia è stata denunciata dall’ex cancelliera Angela Merkel e da molti analisti come una ‘provocazione inutile’ che sarebbe finita male, e che durante quel periodo l’Ucraina era ampiamente considerata come uno dei governi più corrotti al mondo”.
Continua l’articolato reportage di Malone: “Ulteriori pezzi di questo puzzle vengono riempiti tramite un recente articolo di Douglas MacGregor, ‘Playing at War in Ukraine’, che esamina l’insolita ma molto discussa proposta dell’ex direttore della CIA, David Petraeus, secondo cui gli Stati Uniti dovrebbero prendere in considerazione l’intervento militare diretto in Ucraina, non sotto gli auspici della NATO ma come una ‘coalizione dei volenterosi’ guidata dagli Stati Uniti. Da ciò MacGregor deduce due cose: questo ballon d’essai non ha avuto origine con Petraeus, ma più probabilmente dal governo degli Usa e, in secondo luogo, che l’Ucraina ha subito gravi perdite nelle sue recenti offensive, mentre attende un’offensiva invernale della Russia, un paese con 10 volte il Pil dell’Ucraina”.
Così conclude Moloney: “Un recente sondaggio mostra che il 57 per cento dei probabili elettori sostiene gli Stati Uniti nel portare avanti i negoziati come un possibile modo per porre fine alla guerra in Ucraina, anche se ciò significa far concessioni alla Russia. Questo approccio ricorda la strategia a doppio binario impiegata dal presidente Kennedy per disinnescare la crisi dei missili cubani nel1962, l’ultima volta che gli Usa e la Russia erano sull’orlo della guerra nucleare. Allo stesso modo, la diplomazia di base era l’elemento critico nella strategia del presidente Eisenhower per porre fine alla guerra di Corea nel 1953”.
Passiamo alle maggiori testate a stelle e strisce.
Ecco un’ultima dal ‘Washington Post’: “L’amministrazione Biden, nei colloqui riservati, sta incoraggiando i leader ucraini a dichiarare la propria disponibilità ad una trattativa con la Russia e ad abbandonare il rifiuto a impegnarsi in colloqui di pace a meno che il presidente Vladimir Putin non venga rimosso dal potere”.
Commenta ‘Piccole Note’: “Il media mainstream, però, tende a ridimensionare la rivelazione, che proviene da fonti interne all’amministrazione, spiegando anzitutto che gli Usa non hanno intenzione di spingere l’Ucraina a negoziare e in secondo luogo osservando che tale pressione vuole soltanto evitare che la chiusura totale degli ucraini possa incrementare l’insofferenza verso il sostegno alla guerra, già presente in tanti Paesi che stanno soffrendo a causa delle sue conseguenze nefaste”.
Continua ‘Piccole Note’: “La rivelazione del ‘Washington Post’ va di pari passo con lo scoop del ‘Wall Street Journal’, secondo cui il Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Jacob Jeremiah (Jake per i media) Sullivan, ha più volte parlato in via riservata con i russi, in particolare con il suo omologo Nikolai Patrusheve con Yuri Ushakov, consigliere politico di Putin, allo scopo di ‘evitare eventuali escalation, di mantenere aperti i canali di comunicazione e di discutere di una soluzione della guerra in Ucraina’”.
Prosegue la ricognizione di ‘Piccole Note’: “In effetti, segnali di una piccola, forse transitoria svolta, si notano anche su altri livelli negli ultimi giorni. Li mette in fila M.K. Bhadrakumar su ‘Indiapunchline’, in un articolo dal titolo sorprendente: ‘Non è da escludere un incontro Biden-Putin a Bali per il G-20 in Indonesia’. L’articolo si può sintetizzare in un’osservazione: sia i russi che gli americani in questi ultimi giorni hanno evitato di drammatizzare la situazione, attutendo al massimo le notizie che avrebbero potuto acuire le criticità, sia sul campo di battaglia che a livello mediatico. Secondo l’analista indiano, il G-20potrebbe vedere dunque qualche svolta, sia nella forma di una dichiarazione comune delle grandi potenze sulla necessità di preservare il mondo dall’incubo atomico, sia addirittura attraverso un incontro, anche di breve durata, tra i due presidenti. Sì, Biden potrebbe sorprendere, anche considerato che non ha nulla da perdere dopo le elezioni di midterm, dal momento che una sconfitta del suo partito, prevista un po’ da tutti, gli preclude la prossima corsa alla Casa Bianca; da cui una certa libertà di manovra. Inutile illudersi, ma coltivare la buona speranza non è un esercizio vano. Vedremo”.
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