la tempesta perfetta che riporterà Draghi a Palazzo Chigi

di Mauro Bottarelli
Ecco la tempesta perfetta che riporterà Draghi a Palazzo Chigi.
Dal taglio del gas russo allo spread alle stelle si profila un autunno sociale devastante. E per fronteggiare la situazione ci vorrà imposto un tecnico (come Mario Monti nel 2011).
Il seguente esercizio non è da considerarsi un inno al pessimismo, né un invito all’astensionismo. Semplicemente, trattasi di impostazione mentale tesa a non farsi trovare con la guardia abbassata. Trattasi, in realtà, del classico “worst case” scenario. Ovvero, la proiezione ipotetica di una situazione in cui tutto ciò che poteva andare storto, lo ha fatto.
Bene, mettiamo che la mattina di sabato 10 settembre voi vi svegliate con le suddette evidenze di fronte a voi. Il giovedì precedente, 8 settembre, la Bce ha alzato i tassi di 75 punti base in risposta al continuo aumento dell’inflazione nei mesi estivi. Il giorno dopo, il vertice europeo sull’energia si è concluso con l’ennesimo nulla di fatto sul tetto al prezzo del gas, rinviando ogni decisione a un ulteriore incontro.
A vostro avviso, cosa farà la Russia il lunedì successivo, ovvero il 12 settembre? Ciò che strategicamente non avrà fatto domani, giorno in cui tutti staranno con il fiato sospeso sulla ripartenza dei flussi attraverso Nord Stream 1 dopo i tre giorni di stop per manutenzione. Bloccherà tutto. O, quantomeno, lo annuncerà. Dove finiranno i prezzi dei futures del Dutch trattati ad Amsterdam, da qualche giorno sgonfiati come sufflè mal riusciti per il combinato di prese di profitto e, appunto, aspettative per un’iniziativa europea che freni la corsa delle valutazioni? In orbita. E se davvero la Bce avrà alzato i tassi di tre quarti di punto, dove finirà il nostro spread, già oggi talmente in tensione da vedere il rendimento del BTP benchmark risalire sopra il 4% in apertura di contrattazioni ieri mattina (massimo da giugno, quando imperversava l’incertezza sulle politiche Bce in difesa dei debiti periferici)? Altrettanto alle stelle.
E signori, quello scenario verrà a prospettarsi a due settimane dal voto. In piena campagna elettorale nella sua fase più calda. Pensate davvero che il voto del 25 settembre, contestualizzato in un quadro simile, abbia davvero senso? O forse siamo di fronte all’ipotesi tutt’altro che peregrina della nascita di un Draghi-bis, per quanto silenziosa e in incognito, proprio la mattina del 10 settembre? Quale coalizione vorrebbe gestire una simile situazione economico e geopolitica? Ma soprattutto, quale coalizione vorrebbe farlo con le mani legate da condizioni di sostenibilità del debito che già oggi tolgono ogni ipotesi di scostamento di bilancio dal tavolo del governo? Nessuno.
Capito perché siamo andati a votare così in fretta, in un mese che mai aveva visto gli italiani recarsi alle urne e, soprattutto, con un presidente del Consiglio dimissionario nonostante mai sfiduciato formalmente dal Parlamento? Perché occorreva vendere agli italiani la favoletta del popolo sovrano e garantire al governo Draghi un mandato elettorale per finire il lavoro. Perché saranno i partiti, a decidere che di fronte a quanto ci attende, la legge elettorale e la frammentazione di ingovernabilità che essa stessa ha generato necessitino di un secondo tempo per l’ammucchiata di unità nazionale. Lo sapevano fin da principio, perché fin da principio – nonostante l’abbiano negato fino all’altro giorno – sapevano che l’autunno sarebbe stato drammatico. E che occorreva un esecutivo con mandato forte e rinnovato.
Signori, il 25 settembre non rappresenta un appuntamento con la normalità democratica, semplicemente la necessità del Palazzo e dei suoi referenti europei di parlamentarizzare la crisi sociale devastante che sta di fronte a noi. Non potendo imporre un altro lockdown, si manda la gente al voto. Dopodiché, ci penseranno partiti e media debitamente imboccati rispetto alla necessità di drammatizzare di colpo il quadro, a far digerire alla gente il Draghi-bis.
Chi teme Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, si tranquillizzi. E magari stappi una bottiglia: non accadrà. A meno di un precipitare tale della situazione economica da necessitare addirittura un breve quanto traumatico passaggio dalla logica del tanto peggio, tanto meglio. Guardate queste due immagini.
Ci mostrano ciò che ci attende fra 3 mesi. Forse meno. Il Financial Times di ieri nella sua edizione internazionale apriva con la notizia di fabbriche tedesche che hanno già fermato la produzione a causa dello squeeze sul gas generato dall’ennesimo stop a Nord Stream 1 e dalla riduzione dei flussi.
E la seconda immagine è anche peggiore: nei centri Saturn tedeschi compaiono cartelli in cui si comunica alla clientela lo stop alle scale mobili in ossequio alla politica di razionamento cui è già sottoposto il Paese. E sono molti, quasi tutti, i centri commerciali in cui scale mobili, ascensori e illuminazione stanno pagando pegno all’austerity. Quella vera, però. Cosa accadrà, avanti di questo passo?
Preparatevi, perché sotto Natale o poco prima tutto questo diverrà realtà anche da noi. Perché la realtà ha spazzato via mesi di balle riguardo l’affrancamento dal gas russo e le fonti alternative di approvvigionamento, la non necessità di razionamenti, i conti italiani in ordine, il Pnrr che ci salverà e ci farà diventare una nuova Svizzera. Balle. Tutte balle.
E soprattutto, prepariamoci al fallout economico di quelle fabbriche tedesche che bloccano la produzione, come riporta il Financial Times. Fra due mesi, il contraccolpo colpirà in pieno i loro subfornitori e fornitori del Nord Italia, costretti a dover fare i conti – oltre che con il caro-bollette – anche con il crollo degli ordinativi. E con un costo del denaro salito di 75 punti base a settembre e magari di altri 25 o 50 nei due mesi successivi, quindi destinato a sostanziare un poderoso credit crunch da parte di banche costrette a stringere i cordoni e fare i conti con gli accantonamenti precauzionali sulle detenzioni di BTP in pancia. La tempesta perfetta.
Credete davvero che qualcuno dei partiti attualmente in tournée fra piazze e talk-show voglia precludersi la possibilità di governare per i prossimi 10-15 anni, accettando la patata bollente della gestione di un autunno/inverno simili? Ci vuole un tecnico a fare queste cose, esattamente come fece Mario Monti. E noi lo abbiamo già pronto. Addirittura ancora in servizio per gli affari correnti.
Parlamentarizzare la crisi sociale, evitando che esondi nelle piazze. Ecco l’unica priorità insita nella velocità senza precedenti con cui si è spedito il Paese al voto nel mese di settembre e con una campagna elettorale nelle spiagge.
Sicuramente tutto questo è solo un worst case scenario frutto del mio gramsciano pessimismo della ragione. Nulla di cui preoccuparsi. Sicuramente trionferà l’ottimismo della volontà. Se volete un consiglio, però, preparatevi al peggio. Meglio prevenire, che curare.
FONTE

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