L’incompiuta, grande bellezza

L’amarezza supera nettamente la soddisfazione. L’Italia è di nuovo aggredita (mai così positivo questo verbo) dal turismo interno e internazionale e il fenomeno è motivato da concause. La prima si deve all’esito della costante narrazione di sue note eccellenze: miracoli della natura, ricchezza e complessità della storia, di arte e archeologia, gradimento della gastronomia diversificata, di pari qualità, regione per regione; vocazione all’accoglienza, suggestiva concorrenza monti-mare, infiniti tesori ereditati da geni come Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Tiziano; luoghi d’incanto unici al mondo: Venezia, le città d’arte (Roma, Firenze, Napoli).

Napoli appunto. Prima del respingimento di flussi turistici record subito per le restrizioni della pandemia, l’unicità di Partenope aveva calamitato le scelte del pianeta turismo e di là dall’ovvio vantaggio, del sold out di strutture di accoglienza e ristoranti, Napoli si era appropriata del fenomeno in fretta. Con intelligente intraprendenza ha inventato dal nulla catene di B&B, una miriade diffusa ovunque di trattorie, pizzerie, paninoteche. Ha ottimizzato l’extra di straordinari attrattori: la Cappella di Sansevero con il suo ‘Cristo velato’, il Museo Archeologico e di Capodimonte. A completare un’offerta strepitosa, irresistibile, si è innestata l’opportunità di godere il fascino delle isole, della costiera amalfitana, della vicina Caserta, con sua Reggia borbonica di gran lunga più imponente di Versailles.

Messi alle spalle il tunnel buio di lockdown, quarantene e mesti bollettini di contagi, di vittime del coronavirus, Napoli rivive i riflessi di una magia che conta sul fascino del golfo più bello del mondo, dominato dalla magnificenza del Vesuvio, del centro storico più ampio d’Italia, della misterica città sotterranea, di testimonianze sovrapposte delle civiltà greca e romana, di sonorità coinvolgenti che stupiscono chi visita per la prima volta la città.

Ma…ma tutto questo confligge con patologie incurabili di Napoli. Il fondamentale principio della manutenzione ordinaria è da sempre sconosciuto, accantonato da chi si avvicenda alla guida di Palazzo San Giacomo e tutto inevitabilmente degrada. La Villa comunale, parallela al lungomare, è spesso inagibile e altro, in peggio, rispetto al programmato ruolo di sontuoso polmone di verde urbano; palazzi storici soffrono per assenza di tutela, è asfittico il sistema dei trasporti, inclusi limiti e disfunzioni del metrò; mancano i parcheggi silos, è caotico il  porto, sono evidenti le difficoltà di raggiungere mete ambite come Capodimonte; è disadorno il magnifico lungomare, la struttura architettonicamente senza pari, qual è l’ ‘Albergo dei poveri’ di piazza Carlo III, più grande edificio pubblico europeo, è in rovina; la Mostra d’oltremare è privata del suo enorme potenziale di parco urbano, l’area costiera di Bagnoli e l’intero comparto dei Campi Flegrei non sono per nulla collocati nella dimensione possibile di ‘paradiso in terra’; l’isola di Nisida è sottratta all’ovvio, naturale  destino di gioiello per forme di turismo d’èlite, dalla presenza del carcere minorile, trasferibile altrove senza problemi.

Cosa, chi, impedisce che questo ben di dio congiunga le straordinarie attrattive di Napoli alla dimensione di città d’arte, senza se e senza ma?  In larga parte la responsabilità è dei buoni, purtroppo solo  virtuali propositi di chi la governa.

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