C’erano una volta i caschi gialli

Non era ancora il tempo dell’ambientalismo, il rispetto della natura era annebbiato, sopraffatto dal dio dell’industrializzazione. La Terra aveva occhi bendati per non vedere le devastanti immagini dell’inquinamento, le orecchie tappate per non sentire le rare, sommesse voci di denuncia dell’insulto alla qualità della vita, zittite dal nuovo corso dell’Italia in rapida trasformazione, tesa a competere con il potere europeo e mondiale dell’economia. Non furono menti illuminate a deturpare la magnificenza del litorale dei Campi Flegrei nel tratto napoletano di Bagnoli. La scelta miope di impiantare l’acciaieria a un passo dal mare, in posizione strategica per il carico del prodotto sulle navi da trasporto, fu certamente influenzata dalla possibilità di sfruttare i benefici della legge speciale per Napoli del 1904. L’Ilva entra in produzione nel 1910. Prevale la tesi di assecondare la presunta vocazione a polo industriale dell’area ovest della città, già individuata per ospitare impianti produttivi. Esponenziale è la crescita dell’Ilva (1.200 lavoratori, 120 gli ettari occupati nel 1905, 2 milioni di metri quadrati nel 1977 e ottomila dipendenti). Al culmine della produzione dell’acciaio, l’ex Ilva diventa Italsider. Non meno di quindicimila famiglie tra occupati diretti e dell’indotto, dipendono dalla ‘fabbrica’ di Bagnoli. Sono un mito i ‘caschi gialli’, storica presenza operaia nei momenti di tensioni sociali, di grandi battaglie per i diritti di tutti: sono determinanti per la tenuta democratica di Napoli. La crisi, che ha causato la fine dell’acciaieria, mette fine ai danni da inquinamento, ma è anche la conseguenza più drammatica della perdita esponenziale di impianti industriali e non solo dell’area occidentale della città.

Dal governo e soprattutto dal sindacato, ci si sarebbe aspettata la richiesta di un piano per compensare lo smantellamento dell’Italsider e la crisi industriale complessiva, il contributo di progetti a garanzia dell’occupazione in settori alternativi, per esempio in accordo con il ruolo di Napoli città d’arte e di riconosciute bellezze naturali. Invece inerzia, colpevole passività, rassegnazione. Peggio, trent’anni di finanziamenti divorati da strutture commissariali senza produrre alcunché e una delle aree più attrattive della città abbandonate, chiacchiericci insensati sul futuro di Bagnoli, l’intera area dei Campi Flegrei esclusa da un disegno complessivo di valorizzazione della sua impareggiabile, unica contemporaneità di bellezza ambientale e testimonianza del suo ricco passato di romanità. Anni fa un colosso dell’industria italiana, impegnato in attività differenziate, manifestò il proposito di un intervento globale sull’area per trasformarla in un eden senza pari, ma rinunciò a perfezionare il progetto, scoraggiato da una insormontabile serie di ostacoli, non solo burocratici (!). Tocca al sindaco Manfredi imboccare la retta via del fare, mai percorsa dai predecessori, sempre che il governo si decida a nominarlo ufficialmente commissario straordinario, per affrontare prioritariamente lo scottante tema della bonifica. Su come restituire la vita all’area dove insisteva l’Ilva è buio pesto, da trent’anni.

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