Il Racconto di Natale – A mio zio Giorgio, napoletano di Norvegia

Ho quattordici anni e uno zio che vive e opera in Norvegia. Lì ha trovato quanto ha invano cercato a Napoli dov’è nato e neppure nella laboriosa, europea Milano. Giorgio, così si chiama il fratello del mio papà, ora ha quarant’anni. A Oslo dirige un famoso centro di ricerca. Entusiasta del suo importante lavoro, ha sfiorato la candidatura al Nobel per aver scoperto un passaggio fondamentale dell’aggressione alle cellule che degenerano in tumori. Mi ha spiegato mia madre che potrebbe essere la via finora preclusa per aver ragione di questo terribile male.

Gli ho scritto, per dirgli di aver raccontato ‘in giro’ parte della sua vita di emigrante ‘di lusso’, della fatica costata ai suoi genitori di condizione sociale modesta per assecondare la vocazione per la scienza, fino a vederlo laureato e di lì a poco invitato dal Biologic Research Institut norvegese a frequentare uno importante stage, pagato a spese del centro. La qualificata preparazione, l’intelligenza creativa, la vocazione per le sconfinate possibilità della ricerca, nel suo caso agevolata dalla fervida strategia istituzionale dell’Istituto Biologico, lo hanno portato a dirigere il Centro, ma l’importante incarico non lo ha sottratto al ruolo di ricercatore. Ora il suo mondo è Oslo, la sua famiglia è norvegese, la notorietà a dimensione mondiale gli è riconosciuta. Purtroppo di rado, in considerazione della mole di impegni che affronta ogni giorno son riuscito a parlare brevemente con lui grazie a watsApp.

Gli ho chiesto come vive nel nord dell’Europa un napoletano innamorato della sua città.

“Risposta difficile. Per troppo tempo mi è mancata l’idea di libertà, di generosità della natura che ha disegnato il fascino di un golfo senza uguali, la suggestione dell’imponente profilo del Vesuvio, magico fondale della scena totale che domina, il sonoro di una città che parla cantando e accoglie sorridendo se la scopri arrivando da Tokio, San Francisco, Pechino, o da un borgo medievale dell’Umbria. Molto altro mi ha sottratto la vita così antitetica di Oslo, pur con il suo indiscutibile livello di comfort, di vivibilità, ma così distante dalla mediterraneità di Napoli. Ecco, ora capisci perché se riesco a ritagliarmi uno spazio di indipendenza dal mio lavoro volò a incontrare Napoli, con moglie e figli. Ho già prenotato un volo per il weekend che precede il Natale. Ah, ho un compito per te. Ci farai da guida nel centro storico. Prenota una visita alla Cappella Sansevero, alla meraviglia universale del ‘Cristo velato’, all’ ‘Atelier d’Arte La Scarabattola’ dei fratelli Scuotto, dove si possono ammirare pastori di qualità artistica elevatissima, al tunnel borbonico che non conosciamo. Soprattutto abbiamo una voglia matta di una salutare immersione nella napoletanità coinvolgente di questi giorni speciali. Ho letto molto della tradizione presepiale che trova in San Gregorio Armeno il suo fulcro di proposte uniche al mondo, che riproduce la gamma infinita di pastori e ma anche di personaggi protagonisti dell’attualità. Non so come fare di qui (tu sì), per consegnare ai maestri Ferrigno la mia lettera di napoletano che per analogia con la nostra storia tutt’altro che facile non dimentica chi per mille motivi soffre, stenta perfino a sopravvivere alla fame, a mali incurabili, alla violenza della guerra, alle dittature. L’ho spedita proprio questa mattina. Puoi leggerla prima di farla recapitare. Ti abbraccio, a presto”.

Il postino lascia la lettera nella cassetta acquistata on line, di quelle che installa ogni casa americana con giardino. È scritta a mano, sicuramente con la Mont Blanc che gli abbiamo regalato quando si è laureato e non sembra aver peggiorato la qualità del tratto, come capita a chi per qualunque esigenza si serve del world dell’office Windows e dimentica la ‘bella’ scrittura manuale.

 

 

 

 

“Gentili artisti, leggo della straordinaria produzione di ‘statuine’ che attira turisti di tutto il mondo e fa di San Gregorio Armeno un attrattore straordinario di visitatori. So che i soggetti del vostro artigianato artistico sono in grande prevalenza abitanti del presepe: pastori, re magi, bottegai, case dell’epoca, ovviamente la grotta con la ‘sacra famiglia’. Io stesso, prima del mio esodo professionale nell’Europa del Nord, ho frequentato le botteghe della celebre strada nel cuore della città, per arricchire il presepe allestito da mio padre e non ho dimenticato la produzione complementare in sedicesimo di uomini e donne famosi. In bella mostra le botteghe proponevano le statuine di Modugno, di Fanfani, ovviamene di Totò, di calciatori attivi e del passato, di Pesaola e Vinicio, di Sofia Loren, di Pulcinella ‘pizzaiolo’. Immagino che in questo difficilissimo 2021 i personaggi creati dall’estro degli artigiani cdi San Gregorio Armeno, rappresentino il mito di Maradona in cento modi e Pino Daniele, icona della musica colta ma insieme popolare di Napoli. Non mancherà la statuina del ‘comunista’ Papa Francesco, di Mattarella, del generale Figliuolo, che gestisce operativamente la campagna antiCovid, del ct Mancini che con l’Italia di calcio ha vinto gli Europei, ci sarà la figurina di un medico nell’atto di vaccinare un anziano, del centravanti e del difensore centrale degli azzurri, Osimhen e Koulibaly, di Insigne, della stella del nuoto Pellegrini e chissà dei ‘Maneskin’. Tutto da condividere, sono nomi sulla ‘cresta dell’onda’ e pazienza se accanto a loro coesistono anche le sembianze di Trump, Salvini, Meloni, Berlusconi, un vescovo pedofilo,  senza distanziamento sociale da Draghi, Biden, Putin, Erdogan, Orban, la famiglia americana di un leader repubblicano che pubblica la fotografia di gruppo, ciascun componente con in braccio un fucile. Non ho notizie di rappresentazioni, come definirle alternative, di segno opposto. Mancano il volto pulito di Greta Tunberg, portavoce del movimento giovanile ambientalista, il viso scavato dalla nobile fatica di Gino Strada, l’espressione nobilmente austera di Liliana Segre, la testa ‘blindata’ dell’infermiera anti pandemia sfinita dal lavoro di assistenza in terapia intensiva a contagiati gravi del coronavirus, l’espressione solare di Zaki nonostante i 22 mesi di prigionia e soprattutto non è rappresentata la tragedia delle migliaia di migranti, uomini, donne, bambini respinti dal filo spinato, dagli idranti della polizia ai confini della Polonia, esposti al freddo, alla fame. Non sono raffigurate le donne vittime di femminicidio, le morti ‘bianche’ degli operai, i nuovi poveri, i senza casa, chi si nutre grazie a un pasto delle associazioni umanitarie, gli eroi senza nome che salvano la vita dei migranti nel Mare Nostrum, Mimmo Lucano, esempio mondiale di accoglienza non meramente assistenziale. Mi credano signori Ferrigno: senza snaturare la tradizione del presepe che San Gregorio custodisce con riconosciuto merito, alla folla che la frequenta con crescente partecipazione, si unirebbe chi sta dalla parte dell’umanità emarginata, disconosciuta e contro le cose ‘immonde del mondo’. Con gratitudine e ammirazione, Giorgio Esposito, napoletano di Oslo”.  

Mi assumo la responsabilità di fotocopiare la lettera, ne imbusto quante ne occorrono per inviarla a quotidiani, settimanali, radio, web tv, alle istituzioni più rappresentative di Napoli, ai miei amici di facebook di provata sensibilità per ogni forma di emarginazione e intanto rifletto sul percorso di vita di mio zio Giorgio, che sovrappone il lavoro prestigioso di ricercatore a un substrato di uomo non contaminato dal peggio della globalizzazione a senso unico.

 

 

In apertura i Re Magi di quest’anno, con il green pass.

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