VIMINALE / IL CAPO DIPARTIMENTO IMMIGRAZIONE NON SA COSA COMBINA LA MOGLIE

Il marito, Michele Di Bari, è da due anni e mezzo a capo del ‘Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione’, uno strategico ufficio alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno.

La consorte, Rosalba Livrerio Bisceglia, è tra i sedici indagati della maxi inchiesta sul caporalato condotta dalla procura di Foggia.

Una perfetta fotografia dell’Italia di oggi. Degli abusi, degli affarismi, dello    sperpero di danaro pubblico. E anche della totale mancanza di controlli. Un paese nel quale, anzi, chi controlla è spesso e volentieri colluso con il suo controllato. In questo caso si tratta addirittura di marito e moglie.

Michele Di Bari

Non entriamo nel merito dell’inchiesta foggiana, in corso da un paio d’anni e che ha già portato a cinque arresti. Va solo detto che nel mirino degli inquirenti sono finite dieci aziende agricole pugliesi, tra cui anche quella guidata dalla signora Rosalba, un oleificio molto noto nella zona di Mattinata, dove è localizzata la tenuta di famiglia (visto che il marito Michele è originario proprio del ridente comune noto per le sue case bianche). Più in particolare, Rosaria Bisceglie fa parte della compagine societaria dell’azienda.

Una carriera tutta casa & prefetture, quella di Michele di Bari, che si è subito dimesso dal suo incarico. Una carriera iniziata 32 anni fa, avendo tra l’altro ricoperto, nel corso del tempo, la carica di commissario straordinario in molti comuni sciolti per infiltrazioni mafiose.

Nel 2001 è viceprefetto a Foggia, per il biennio 2012-2013 prefetto a Vibo Valentia, dal 2013 al 2016 prefetto a Modena, quindi nella bollente Reggio Calabria fino al 2019. Quando poi, a maggio di quell’anno, viene chiamato sulla poltrona, forse ancora più bollente, di responsabile del ‘Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione’, che coordina tutte le politiche del Viminale in tema, appunto, di immigrazione, sempre al centro di feroci polemiche politiche.

Il Dipartimento è alle dirette dipendenze del ministro Luciana Lamorgese, che ha accettato le dimissioni presentate da Di Bari.

Una gestione, quella griffata Lamorgese, da mesi sotto i riflettori e sempre nell’occhio del ciclone. E, con ogni probabilità, anche questa vicenda non potrà che gettare benzina sul fuoco.

Sorge infatti spontaneo un interrogativo.

L’inchiesta della magistratura trova il suo punto focale nel 2020, perché è proprio nel periodo che va da luglio ad ottobre 2020 che si svolgono i controlli dei carabinieri in quelle dieci aziende agricole che intrattenevano rapporti border line con i caporali per la raccolta di manodopera.

A questo punto, possibile che al Viminale non sia arrivata notizia di quella inchiesta al calor bianco? Un’indagine che coinvolgeva la moglie del Capo Dipartimento? Difetti di comunicazione o cosa? Non sarebbe stato il caso di precedere, una volta tanto, il fattaccio e di dimissionare ‘prima’ il prefetto che non vede quel che succede sotto il suo tetto?

Ma siamo nel paese dove nessuno vede, nessuno sente, nessuno parla.

Pensavamo che quelle omertà fossero morte e sepolte. Invece no.


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