PANDEMIA / AD UNA SVOLTA LA MAXI INCHIESTA DI BERGAMO    

Colpi di scena in vista per la maxi inchiesta avviata un anno e mezzo fa dalla procura di Bergamo sulla malagestione dei primi mesi della pandemia.

Sta infatti terminando la fase istruttoria delle indagini coordinate dal procuratore aggiunto Maria Cristina Rota, nel corso delle quali sono stati sentiti centinaia di testimoni, alcuni dei quali ‘eccellenti’.

Tutto nasce dalle prime denunce presentate in procura dai familiari delle vittime per il covid-19, epicentro in Val Seriana. Ad oggi sono sei gli indagati per epidemia colposa e falso; ma altri nomi potrebbero aggiungersi prima di chiudere l’istruttoria, quindi a breve.

I primi riflettori degli inquirenti erano puntati soprattutto sulla mancata istituzione della zona rossa nell’area, nonché sulla gestione del focolaio covid all’ospedale di Alzano Lombardo. Quindi il ‘tiro’ è stato alzato fino a sfiorare i vertici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal momento che l’ex direttore aggiunto era un italiano, Ranieri Guerra. Poi, ancora di più, per accertare le vere responsabilità circa il mancato aggiornamento e la mancata attuazione del ‘Piano Pandemico Nazionale’: fatti e circostanze che tirano in ballo direttamente anche il Ministero della Salute e in particolare il suo titolare dall’inizio della pandemia, Roberto Speranza.

Proprio quella di Speranza è stata una delle ultime testimonianze eccellenti ed ha subito sollevato un vespaio di polemiche, ovviamente ‘silenziate’ dai media genuflessi di fronte all’esecutivo griffato Mario Draghi (solo ‘il Domani’ ha scritto un reportage degno di questo nome).

A dar fuoco alle polveri le parole del procuratore capo di Bergamo, Antonio Chiappini, che senza peli sulla lingua ha commentato: “Il ministro Speranza non ha raccontato cose veritiere, dovremo valutare anche questo”. Parole che pesano come macigni e che, finalmente, aprono il cuore alla… speranza di far chiarezza sulle responsabilità di una gestione tanto scellerata di quei primi 10 mesi almeno che hanno causato oltre 120 mila vittime, allorchè il governo non ha adottato alcun provvedimento per fronteggiare il virus dilagante, impartendo solo il ditkat ‘tachipirina e vigile attesa’, ovvia anticamera per l’ospedalizzazione, la terapia d’urgenza e in tanti, troppi casi la morte.

Il tribunale di Bergamo. In apertura Roberto Speranza

Le parole pronunciate da Chiappini fanno letteralmente a pugni con quanto dichiarato da Speranza il 28 aprile scorso in Senato: “Al Paese e al Parlamento – la sua frase testuale – ho sempre detto la verità e continuerò   a farlo”.

A quanto pare Speranza, davanti ai pm bergamaschi, avrebbe negato di essersi mai lamentato con il direttore europeo dell’OMS, Hans Kluge, per il contenuto del famoso report redatto dal ricercatore veneziano (al lavoro per l’OMS), Francesco Zambon e relativo alla (non) gestione della prima ondata, gestione definita senza mezzi termini ‘caotica’ e ‘improvvisata’. Misteriosamente il rapporto vive sul web per pochi giorni, perché viene ritirato il 14 maggio 2020: l’accusa più forte era che l’Italia non aveva un piano pandemico aggiornato, cosa vera, poi stradimostrata, e chiave di volta per decodificare le gigantesche responsabilità non solo ministeriali ma anche di quel codazzo ‘tecnico-scientifico’ emblematizzato dal ‘CTS’.

I pm avrebbero accertato, in modo documentale, che le misure previste dal vecchio piano pandemico del 2006 erano ancora valide e applicabili per qualunque malattia respiratoria di natura contagiosa, e quindi anche al coronavirus. La gravissima responsabilità di tutti i ministeri che si sono succeduti dal 2006 in poi è stata quella di non prevedere e non provvedere ai necessari adeguamenti, aggiornamenti, rafforzamenti, anche in termini di spesa. Come, ad esempio, fa notare l’epidemiologo Donato Greco, ossia il ‘padre’ del ‘Piano Pandemico Nazionale’ varato nel 2006, quando ricopriva la carica di direttore generale della ‘Prevenzione’ al ministero: “Il Italia abbiamo perso la cultura della ‘preparedeness’, la prevenzione da anni è la cenerentola del sistema. Il piano pandemico è un animale vivente, ha senso se viene rinnovato ogni anno, altrimenti è solo un documento. C’è stata molta sciatteria”.

Sciatteria (e certo non solo) ministeriale. Ma anche di organismi come il ‘Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie’ (CMC), che non ha mai spinto le Regioni ad attuare e aggiornare i propri piani pandemici, quasi tutti rimasti fermi al palo, cioè a quello originario del 2006.

I pm bergamaschi, quindi, hanno ricostruito l’intera catena di comando che porta inevitabilmente ad individuare delle precise responsabilità, con tanto di nomi e cognomi, per fatti, azioni & omissioni ormai chiari.

A questo punto, potrà fermarsi a solo 6 il numero degli indagati e per i quali potrà essere chiesto il rinvio a giudizio?

Staremo a vedere. E le sorprese potrebbero arrivare sotto l’albero di Natale…

 

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