Ma siamo tutti Giulio e Patrick?

Sarebbe egoisticamente sbrigativo condannare con qualche nota dei media, o con intima esecrazione individuale il comportamento indecente del governo egiziano, che continua a umiliare i familiari di Giulio Regeni, assassinato dall’ignobile violenza della tirannia, che fa dell’Egitto uno dei Paesi irrispettosi dei diritti umani. Il processo per il sequestro, la tortura, l’omicidio del giovane ricercatore si arena dopo sei anni di ostacoli d’ogni genere, subisce un incredibile stop perché il Cairo non ha notificato la prevista udienza ai quattro agenti accusati di sequestro, torture e omicidio. La Corte di Assise di Roma ha ‘dovuto’ annullare il rinvio a giudizio degli agenti accusati dell’assassinio del giovane ricercatore: il Cairo (a questo si sono aggrappati i difensori dei quattro imputati) non ha notificato agli imputati l’udienza programmata e ha negato che ne fossero comunque a conoscenza.  Praticamente azzerato il processo. Paola e Claudio, genitori di Giulio, con l’ammirevole determinazione ad avere giustizia, che li impegna da anni,  non hanno reagito solo con legittima indignazione: “Non ci siamo mai fatti fermare, non ci arrendiamo ora”.  Di là dalla loro rabbia per un nuovo capitolo del comportamento ignobile dell’Egitto, ogni italiano dovrebbe reagire in quanto italiano, perché è l’intero Paese a subire la tracotanza    del Cairo, non solo la famiglia di Giulio, non solo il nostro governo. Giuseppe Conte ricorda con amarezza di aver inutilmente chiesto al presidente Al Sisi di cooperare per l’’accertamento della verità e la condanna dei colpevoli; Di Maio ha più volte esercitato pressioni sull’Egitto, senza esito; abbiamo ritirato dal Cairo il nostro ambasciatore, ma poi lo abbiano rispedito in Egitto. In nome del business ‘export di armi’, voce con il segno più della nostra economia, non ne abbiamo mai interrotto la vendita, sicché Al Sisi e il suo governo, che tiene in carcere senza un capo di accusa Zaki, ricercatore egiziano dell’università di Bologna e altre decine di dissidenti, molti decaparecidos, scomparsi nel  nulla, può fregarsene degli inviti formali alla collaborazione e copre le responsabilità della sua dittatura, ignorate anche dagli organismi internazionali che potrebbero pretendere verità e giustizia per le vittime di quel regime. Il punto: consentire all’Egitto o a chiunque altro (per esempio agli Stati Uniti, che anche con la presidenza Biden non smantellano la prigione delle torture di Guantanamo) di non dar conto di comportamenti istituzionali illegali, non è solo una grande e irrisolta questione, da contrastare concretamente, è corresponsabilità di tutti, così come i ‘casi’ Regeni, Zaki non sono solo un inaccettabile vulnus per le rispettive famiglie. È il nostro Paese a subire un’umiliazione impunita, in nome di relazioni internazionali che meriterebbero atteggiamenti di ben altro segno, in direzione di autorevolezza e potere contrattuale con regimi violentemente autoritari, qual è l’Egitto di Al Sisi.

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