Bugie e verità, dubbi e certezze

Il caso Afghanistan ha cento zone d’ombra e poche, tragiche certezze. Interessi di ‘campanile’ a dimensione internazionale, coprono con una fitta cortina fumogena cause e responsabili di eventi disastrosi, scelte dettate da egoismi sovranisti, macchinazioni coincidenti di criminalità e vertici delle istituzioni, cosiddetti misteri insoluti. Mentre esplode la follia stragista di kamikaze indottrinati per agire a distanze siderali dalla normalità degli umani, l’Occidente vaga smarrito in cerca del perché sui vent’anni conclusi dell’ invasione armata dell’Afghanistan si abbatta l’incontenibile furia omicida dell’Isis; perché i talebani protetti dall’apparato militare di Stati Uniti e alleati esultino per la fuga ingloriosa dal Paese; perché  è una colossale menzogna la pacifica intenzione di esportare democrazia in luoghi del mondo aggrappati a concezioni della società arcaiche, anacronistiche, chiuse  a riccio in difesa di inaccettabili arretratezze culturali. Qualche certezza c’è. Non è improprio l’accostamento con la poco dignitosa conclusione del confronto tra il Golia americano, con il suo micidiale potenziale bellico e il Davide vietcong, armato quasi esclusivamente di intelligenza strategica e determinazione a espellere l’invasore.  In comune con l’esito dei vent’anni americani in Afghanistan, è che gli Stati Uniti a suo tempo hanno platealmente spacciato la presunzione di ergersi a esempio universale di progresso, di interpretare con un intervento altamente azzardato il contrasto al ‘comunismo’ illiberale.

 

La diversità è che id recente debbano ammettere che non sono più i soci fondatori, esclusivi, del club della democrazia mondiale.  Certezza, anche se si prescinde dall’inchiesta del regista Michael Moore, è lo scetticismo sulla ricostruzione americana dell’attentato alle Torri Gemelle. Certezza è che l’avvenuta vendetta con la caccia a bin Laden e la sua eliminazione, è stato un capitolo assolutamente incompiuto della guerra al fondamentalismo islamico dell’Isis. Lo confermano i numerosi attentati successivi nei Paesi occidentali e ancora più la strage  alla vigilia degli ultimi decolli consentiti congiuntamente dall’Isis e dai talebani. Certezza è il fragoroso fallimento della contraddittoria politica estera americana, il conflitto non esplicito, aspro, tra le gerarchie militari, i governi di falchi convinti come Nixon, Bush, Trump, falchi convinti e Biden, cosciente dell’urgenza di lasciare l’Afghanistan, a costo di una sonora, figuraccia. Certezza è che il poco ottenuto in vent’anni di intrusione nelle vicende di Kabul, è destinato ad arretrare, a privare i giovani e le donne di faticose minime conquiste. Certezza è il pericolo che l’Isis infiltri i suoi ‘eroi suicidi’ (li ritrae con le cinture esplosive in vita) nei Paesi che hanno sottratto al fondamentalismo islamico la disponibilità di ambite ricchezze e il via libera alla produzione, al commercio mondiale delle droghe.  Il rischio è che le colpe del nuovo default americano ricadano su Biden e aprano a strada alla successione di falchi per nulla rassegnati alla guida democratica del Paese.

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