Un mix micidiale tra gli sforzi lobbistici di Big Pharma e la mancanza di trasparenza della Commissione europea ci ha portati ai fallimenti di oggi sui vaccini. L’antidoto è appunto la trasparenza, che rende l’Unione europea più forte nei confronti delle aziende. Sempre che fosse vera la promessa di von der Leyen di voler fare dei vaccini un bene comune
Il dibattito europeo su come gestire la pandemia dovrebbe quantomeno essere un po’ onesto. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un revival del “nazionalismo vaccinale”, con gli stati membri dell’Unione europea che acquistano i vaccini ovunque possano e con l’Ue che valuta di bloccare le esportazioni fuori dai suoi confini. Assistiamo a una strategia europea sui vaccini che si mostra fallimentare e al contempo a una mancanza di solidarietà verso il sud del mondo che è controproducente. Quali sono i fili che tengono insieme tutti questi punti? Qual è la radice di questo fallimento a cui assistiamo, e che è sotto gli occhi di tutti? La mancanza di trasparenza e una malsana presa di potere sulle politiche europee da parte di Big Pharma.
L’incontro riservato tra Sandra Gallina, che è al vertice della Direzione generale Salute della Commissione europea, e Farmindustria, organizzazione che esprime gli interessi dell’industria farmaceutica – incontro portato alla luce di recente proprio su questo giornale – non è un caso isolato, non è uno sporadico accidente. Almeno da fine settembre, molti membri del Parlamento europeo e attori della società civile hanno chiesto più trasparenza. Invano. La direttrice Gallina e i suoi vertici, come stessa presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, hanno più volte affermato pubblicamente che la trasparenza è «essenziale»; dopodiché nulla è successo, alla prova dei fatti. A meno che non si voglia considerare un contratto pubblicato con buona parte delle informazioni essenziali cancellate come una forma di trasparenza.
Uno degli ultimi esempi lampanti di questo finto impegno alla trasparenza è il fatto che Gallina già qualche mese fa abbia promesso all’Europarlamento, e nello specifico alle commissioni Bilancio e Controllo bilancio, di dare le cifre ripartire, la ripartizione della spesa che complessivamente si aggira sui tre miliardi di euro e che è stata pagata alle aziende farmaceutiche: a quali aziende è andato quanto, e per fare esattamente cosa? Quanto è stato speso per ricerca e sviluppo, quanto per la produzione, quanto per l’aumento della capacità produttiva? Le commissioni parlamentari aspettano ancora una risposta a questa loro richiesta, e considerate che spetterebbe a loro controllare il modo in cui i soldi dei contribuenti vengono spesi. Ecco qual è il trucco: i vertici della Commissione sono sempre d’accordo a parole sul fatto che la trasparenza è importante, ma poi agiscono in modo opposto.
Recentemente von der Leyen ha detto di essere stufa di tutte le critiche rivolte alla sua istituzione. Naturalmente anche alcuni stati membri condividono la responsabilità in alcuni dei pasticci, ma lei dovrebbe rendersi conto di una cosa: la trasparenza non è un favore che la sua istituzione fa ai membri del parlamento o agli attivisti che si occupano di salute pubblica. Un’autentica trasparenza intorno alle trattative per l’acquisto di vaccini da parte dell’Ue sarebbe stata un potente strumento per ottenere le giuste politiche europee. Avrebbe consentito il dibattito pubblico e lo scrutinio parlamentare, mettendo a nudo le debolezze dell’approccio europeo in tempo, prima che fosse troppo tardi per correggere il tiro, e avrebbe reso più forti i negoziatori europei nel confronto con Big Pharma.
Questo potere lobbistico di Big Pharma non è una fantasia o una teoria della cospirazione.
Per anni, noi del Corporate Europe Observatory abbiamo messo a nudo il potere lobbistico del settore farmaceutico nella definizione delle politiche dell’Ue. Nel 2019 il nostro rapporto “Prezzi alti, scarso accesso” ha esposto come e perché l’industria farmaceutica è una delle più redditizie al mondo, beneficia di un modello che è assai controverso, e che contribuisce a far sì che molte persone tuttora non abbiano accesso a farmaci essenziali e salvavita.
Mentre questo per decenni è stato considerato un problema importante nel Sud del mondo, anche in Europa ha iniziato a diffondersi la crisi che riguarda l’accessibilità dei farmaci. L’emergere di farmaci estremamente costosi – con prezzi di decine e centinaia di migliaia di euro, ampiamente sproporzionati rispetto ai costi di sviluppo e produzione – deve molto alla regolamentazione e alle regole di proprietà intellettuale (IP) su misura per l’industria. Abbiamo rivendicato la trasparenza come strumento nelle mani dell’Europarlamento e della Commissione, come grimaldello per garantire che la politica dei farmaci sia protetta dall’indebita influenza di Big Pharma.
Meri interessi commerciali non dovrebbero minare le priorità di salute pubblica. Se si sposa questo approccio risulta evidente che le istituzioni europee dovrebbero lavorare per una cooperazione su scala europea allo scopo di avere solide e indipendenti valutazioni su nuovi farmaci, che dovrebbero smetterla di promuovere il rafforzamento dell’IP attraverso trattati commerciali, e che dovrebbero piuttosto incentivare il dibattito su come finanziare al meglio la ricerca in campo medico, assicurando un ritorno pubblico per investimenti pubblici.
NEL NOME DELL’INNOVAZIONE
Quest’ultimo punto è ancora abbastanza rilevante. Ma purtroppo la crisi attuale mostra che non è stata imparata la lezione. Il nostro rapporto “Più privato che pubblico” del maggio 2020 ha mostrato che miliardi di denaro dei contribuenti sono stati spesi per l’Iniziativa sui farmaci innovativi (Imi, a regime tra il 2008 e il 2020), un partenariato pubblico-privato su larga scala tra la Commissione europea e l’associazione commerciale farmaceutica nonché gruppo di pressione Efpia (Federazione europea delle industrie e associazioni farmaceutiche).
L’Efpia, fondamentalmente al posto di guida, ha disposto di un budget di ricerca di 2,6 miliardi di euro attraverso l’Imi, ma non ha investito in modo significativo in aree di ricerca in cui il finanziamento pubblico è urgentemente necessario, compresa la preparazione a lungo termine per le epidemie (!), hiv/aids, e le malattie tropicali trascurate e legate alla povertà.
Mentre l’obiettivo dichiarato di Imi è quello di guidare l’innovazione nella ricerca farmaceutica e migliorare la salute, Imi è stata criticata perché incarna un modello in cui il settore pubblico paga gran parte del conto per la ricerca, mentre il settore privato è in grado di impostare l’agenda della ricerca nel proprio interesse, e raccogliere i frutti. L’Imi verrà riproposta a partire da quest’anno nell’ambito del programma di ricerca dell’Ue “Horizon Europe” (2021-2027).
A settembre dell’anno scorso abbiamo rivelato in “Potere e profitto durante una pandemia” come il lobbismo dell’industria Big Pharma stava mettendo il profitto prima di una risposta efficace alla pandemia. L’indagine, tramite le richieste di accesso agli atti avanzate sulla base della Freedom of information (Foi), ha portato alla luce decine di documenti che mostravano come Big Pharma, a dispetto delle sue dichiarazioni di impegno a fronteggiare la pandemia fatte per ragioni di pubbliche relazioni, di fatto aveva spinto e fatto lobbying massicciamente per tutelare il proprio, controverso modello di business volto a massimizzare i profitti.
Un modello che si regge sia su denaro pubblico concesso senza vincoli allegati, sia su regole di brevetto eccessivamente monopolistiche. Big Pharma, per esempio, ha fatto pressione contro l’acquisto congiunto di trattamenti medici, uno strumento destinato a prevenire prezzi eccessivi. I lobbisti del farmaceutico hanno anche spinto argomenti basati sulla paura e la scarsità per conquistare lucrativi accordi di acquisto anticipato (Apa) per potenziali nuovi vaccini.
VI STUPITE?
Quindi dovremmo davvero essere sorpresi che l’Europa sia attualmente in un pasticcio per quanto riguarda la strategia dei vaccini? Il punto è questo: la nostra lotta per una maggiore trasparenza non è una sorta di gadget democratico; è il prerequisito per una buona governance, in quanto è essenziale per costruire la fiducia pubblica nella strategia vaccinale.
Ecco cosa è andato storto nei negoziati sui vaccini dell’Ue con Big Pharma: che l’Ue pare aver semplicemente comprato i vaccini mentre ha fallito il compito di negoziare condizioni forti nel pubblico interesse; quelle condizioni per l’interesse pubblico non sono state imposte neppure per il Sud globale. Altri hanno descritto la strategia negoziale dell’Ue come un “approccio softball”, il che significa che ci tocca fare affidamento sulla buona volontà delle aziende.
L’Ue aveva in realtà una posizione negoziale molto forte, negoziando congiuntamente per conto di 27 paesi, con budget massicci per finanziare la ricerca e lo sviluppo e preparare la capacità produttiva. Questo in un contesto di una pandemia senza precedenti in cui le aziende si erano impegnate a mettere la salute globale prima dei profitti.
Sembra che i negoziatori non siano riusciti a sfruttare la forte posizione negoziale che avevano. La segretezza intorno ai negoziati è un altro aspetto di questo: la trasparenza proattiva avrebbe aiutato a rafforzare ulteriormente la posizione dell’Ue, ma la Commissione ha scelto l’approccio esattamente opposto. Come ha detto recentemente Yannis Natsis della European public health alliance (Epha): «La segretezza era conveniente sia per il settore farmaceutico che per la Commissione europea. La trasparenza è stata sacrificata per servire la priorità assoluta della conclusione rapida dei contratti, senza troppe domande… fino al fiasco AstraZeneca».
La trasparenza dei negoziati avrebbe permesso un dibattito pubblico adeguatamente informato e un controllo parlamentare. Le debolezze nell’approccio negoziale dell’Ue sarebbero diventate evidenti prima che fosse troppo tardi per correggerle. Per esempio, l’attuale scarsità disastrosa è dovuta al fatto che l’Ue ha incautamente fatto affidamento su un piccolo numero di giganti farmaceutici per sviluppare una sufficiente capacità produttiva; questo errore avrebbe potuto essere individuato in anticipo e un approccio migliore avrebbe potuto iniziare sei mesi prima.
E la maggior parte delle aziende farmaceutiche hanno beneficiato di grandi fette di denaro pubblico, investite in ricerca e sviluppo e spese per l’approvvigionamento, con quasi nessun criterio di accountability e senza che venissero apposte condizioni poi per garantire l’accesso ai vaccini. Pfizer e Moderna, per esempio, quest’anno prevedono che i vaccini garantiscano loro profitti tra i 15 e i 30 miliardi di dollari.
BATTAGLIA DELLA TRASPARENZA
Questo è il motivo per cui da settembre stiamo conducendo una freedom-of-information battle, una lotta in nome della libertà d’informazione, con la Commissione europea; una battaglia per la divulgazione dei contratti sui vaccini e per i documenti chiave relativi ai negoziati con Big Pharma, da cui le nostre due richieste basate sulla libertà di informazione. La gestione di queste richieste da parte della Commissione ha sistematicamente violato le norme della legge sulla libertà d’informazione e non avevamo mai visto prima un caso così pessimo.
Abbiamo compilato un reclamo contro la Commissione europea e a quel punto l’ombudsman, il mediatore europeo, ha aperto un’indagine e ha imposto alla Commissione una deadline; scadenza che l’esecutivo europeo non ha rispettato. Recentemente la Commissione ha riconosciuto il «forte bisogno di trasparenza» nei negoziati sui vaccini e ha dichiarato che si impegna a «garantire la massima trasparenza possibile». Questo riflette la debacle di AstraZeneca a gennaio, quando la Commissione ha deciso che non poteva più tenere segreti i contratti.
Ora aspettiamo centinaia di documenti che saranno divulgati in tutto o in parte, ma senza alcuna scadenza concreta. Perché? Bè, la Commissione si sta ancora «consultando con parti terze». Dato quello che abbiamo visto finora, supponiamo che si tratti di aziende farmaceutiche. Questo dimostra ancora una volta chi ha il controllo qui, e non è la Commissione europea.
La trasparenza fin dall’inizio avrebbe rafforzato la posizione dei negoziatori dell’Unione nei confronti di Big Pharma, poiché l’opinione pubblica avrebbe senza dubbio sostenuto i tentativi di costringere Big Pharma – in cambio del generoso finanziamento pubblico – ad accettare di rendere i vaccini un bene pubblico globale.
Tutto questo naturalmente presuppone che rendere i vaccini un bene pubblico globale (come promesso dalla presidente della Commissione Ursula Von der Leyen) fosse effettivamente un obiettivo politico nei negoziati con Big Pharma. O invece era solo una vuota promessa fatta sul palcoscenico della politica? Probabilmente è questa la domanda a cui siamo più ansiosi di trovare la risposta.
FONTE
articolo di OLIVIER HOEDEMAN, HANS VAN SCHAREN per
IL DOMANI
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