Vatti a fidare…

Ben oltre la curiosità professionale, incalzano i dubbi, già insiti nell’ anomalo mosaico che ha partorito l’esecutivo Draghi con la spartizione di ministri, poi di sottosegretari e a pioggia di incarichi istituzionali connessi: la finta moderazione di Salvini, le infiltrazioni di leghisti e Berlusconiani in ruoli primari, in grado di condizionare la gestione degli ingenti finanziamenti europei, lasciano intuire che il governo, al suo esordio rivela di avere serpi in seno. Qualcuno ha pensato davvero che il ‘carrocciaro’ di Pontida si fosse redento, fino a impersonare le vesti dimesse di agnello sacrificale? La sua doppiezza si è presto rivelata con il minaccioso alternare le funzioni di esponente della larga maggioranza di governo e di quinta colonna. Alcune conferme, più dirette: le pressioni esplicite e reiterate sul Viminale con l’assurda pretesa di risuscitare i suoi famigerati decreti sicurezza, il silenzio tombale sul nazifascismo delle cosiddette ‘ronde nere’ che al nord picchiano con violenza inaudita giovanissimi migranti, ignorate per non alienarsi l’estremismo di destra e non consegnarlo alla ‘borgatara’ Meloni; l’ipotesi riesumata del famigerato ponte sullo stretto di Messina, bocciato universalmente, insensata utopia, per tentare di accaparrarsi consensi al Sud e far dimenticare gli insulti razzisti; l’ambiguità dell’abisso che separa il  nazionalismo di comodo e progetti di sodalizi sovranisti con suoi omologhi, come l’ungherese Orban (e poi, “L’euro? non è un capitolo intoccabile”). Con le dovute specificità si propone anche la bifronte Forza Italia. Almeno in questa prima fase del governo del “tutti insieme appassionatamente”, i suoi esponenti, gratificati con ruoli nell’esecutivo, condividono la regia di Draghi, ma chi ne è fuori (uno per tutti Tajani) recita ancora la parte dell’opposizione.

Giusto, avventato, destrutturante, lo choc di Zingaretti? La risposta è in un’incognita e in una incertezza. All’indomani delle dimissioni del segretario il partito democratico, così sentenziano i sondaggi, è precipitato nei bassifondi del consenso, sembra perfino al di sotto della neo fascista Meloni. Il dubbio: è Letta l’elisir salvifico che restituirà alla sinistra protagonismo e favore popolare? Qual è il suo plusvalore di emigrante di lusso ingaggiato dalla Sorbona, il credito di leader, la dimensione politica superiore rispetto, che so, a Franceschini, Del Rio, eccetera, eccetera? Insomma, il popolo degli ex Pci, si potrebbe riconoscere solo nella ‘Sinistra’ di Fratoianni, in Vendola, se non avesse operato scelte di vita nel privato. Certamente non nella caotica anarchia delle correnti in cui solo il ‘genio’ di Cencelli’ può districarsi, non l’autarchia di governatori come Bonaccini, Emiliano, De Luca, interpreti di autonomia esasperata e tanto meno le componenti dem che hanno salde radici in territori della politica per nulla compatibili con gli eredi di Gramsci. Comunque, nessuna pregiudiziale, al bando lo scetticismo della ragione, ma è da dimostrare, che Letta sia il luminare della politica con le doti taumaturgiche richieste dall’emergenza Pd, deflagrata con le dimissioni di Zingaretti.


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