Pasolini, Lomax e la Zeza

Formidabile quell’anno in Italia per Alan Lomax, uno dei massimi musicologi del Novecento. Anzi: “E’ stato l’anno più felice della mia vita”, confida nella pagina finale del suo diario, al termine di un viaggio memorabile lungo l’intera penisola, dal Friuli al Salento, dalla Liguria alla Calabria e di lì in Sicilia, il più delle volte accompagnato dal collega italiano Diego Carpitella, alla ricerca degli archetipi della musica e del canto corale, per conoscerli, studiarli e sottrarli così alla damnatio memoriae operata dai signori del capitale e dalle classi dirigenti nei confronti della cultura non ufficiale.

E proprio così, L’anno più felice della mia vita (sottotitolo: Un viaggio in Italia 1954-1955), si intitola il prezioso volume (anche sotto il profilo iconografico), per le edizioni Il Saggiatore, dedicato a quella straordinaria avventura umana e culturale di Lomax, a cura del musicologo Goffredo Plastino, con un testo di Anna Lomax Wood, figlia del grande musicologo, e la presentazione di Martin Scorsese.

Il celebre regista, ammiratore del Neorealismo e del Paese dei suoi avi, grazie a un linguaggio essenziale e una sincera partecipazione emotiva all’esperienza di Lomax, riesce a restituirci nel suo breve testo, che vale la pena riportare integralmente, lo spirito di quel viaggio nella musica e in un mondo altro: “Sono sempre stato attratto dalle immagini dell’Italia di un tempo. Fa parte di una mia eredità privata, che devo alle relazioni con mio padre e con mia madre, con le mie zie e i miei zii, con i miei nonni. Quello era il mondo dal quale provenivano. Dopotutto, è il mondo dal quale provengo anch’io. Meraviglioso e delicato, questo libro mi ha emozionato infinitamente. Il modo in cui Alan Lomax abbraccia le diverse realtà italiane, i paesaggi e la gente è sincero, non è scontato né predeterminato. Lo si sente nelle sue parole e nelle sue fotografie: dai pescatori di tonno ai musicisti campani, da un suonatore di flauto di pan a Buttanuco a un cuntastorie a Palermo. Si sente la sua gratitudine e la sua gioia per essere stato in grado di vagare tra tante magnifiche culture locali, antiche eppure intensamente vive”.

Di quel lungo (e proficuo) tour etnomusicale, che in certi tratti riecheggia le scene dei film di Rossellini e De Seta e le pagine di Carlo Levi e di Ernesto De Martino, il passaggio in Irpinia – dove giunge nel gennaio del ’55 – costituirà per Lomax una delle tappe più stimolanti e gioiose.

L’8 è a Mercogliano, dove registra la Zeza, la canzone peculiare del Carnevale irpino (studiata da artisti e scrittori come Domenico Rea e Roberto De Simone, per citare i più illustri) e qualche giorno dopo, sulle tracce della Tarantella, eccolo a Montemarano, che nel suo diario descrive con toni ispirati, sull’onda di un piacevole stupore: “Ma soltanto cinquanta chilometri più in là, in questo pazzo mosaico culturale che è il Meridione, mi ritrovai a Montemarano, una comunità di canzoni e cori – la gente era fuori, sulle colline a raccogliere castagne e a cantare alcune cupe e antiche canzoni in uno stile che non avevo ascoltato altrove…Le persone erano molto scure di carnagione, molto allegre, le donne così libere nei loro comportamenti che mi presero per mano e mi portarono a ballare non appena la danza ebbe inizio…E che tarantella: questa gente allegra non ballava separata da un fazzoletto; i ragazzi abbracciarono per bene le ragazze e saltellarono in giro, mentre ogni occhiata nella stanza brillava di sensuale gioia”.

A Montemarano Alan Lomax, insieme a Carpitella, registra una canzone a più voci e una tarantella per organetto diatonico e tamburello, che, unitamente a un canto di lavoro e a una tammurriata di Positano e a una serenata a più voci raccolta a Sant’Arsenio, saranno inserite nella sezione “Campania” del disco Southern Italy and Islands della Columbia Records. Inoltre, la ricerca sul campo nelle province di Avellino e Salerno fornirà allo studioso statunitense interessanti elementi di conoscenza e di analisi per l’ampio saggio, dal titolo Nuove ipotesi sul canto folcloristico italiano nel quadro della musica popolare mondiale, pubblicato sul n.17-18 (novembre 1955 – febbraio 1956) di “Nuovi Argomenti”, la prestigiosa rivista bimestrale diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci.

Ma il bello deve ancora venire, e costituirà una clamorosa sorpresa per lo stesso Alan Lomax. Che sedici anni dopo, nell’autunno del ’71, riascolterà quella Tarantella al cinema, a New York, dove proiettano il Decameron di Pier Paolo Pasolini.

Alan Lomax. In alto il carnevale irpino

Il musicologo, secondo la ricostruzione di Plastino, balza letteralmente sulla sedia: quella tarantella per organetto e tamburello, che ha registrato a Montemarano, è la musica che accompagna il ballo nuziale nell’episodio di Gemmàta. Lo sgomento di Lomax, del resto, si era manifestato fin dall’inizio della proiezione: appena partiti i titoli di testa, ecco una musica a lui familiare, la Zeza; sì, proprio l’identica versione di quella che aveva registrato in Irpinia nel ’55, e che dopo quattro minuti ritorna nella novella di Andreuccio da Perugia. Avrebbe da che esserne orgoglioso, invece è sconvolto: nei titoli di testa il nome di Lomax non c’è, anzi compare la frase “Musiche a cura dell’autore / collaborazione del M.Ennio Morricone”. E, oltre alla Tarantella di Montemarano e alla Canzone di Zeza, nel corso del film Lomax si troverà ad ascoltare per più di venti volte i motivi che lui per primo ha raccolto in Campania e inciso su disco.

Quando esce dal cinema – si legge in L’anno più felice della mia vitaLomax ha vissuto la straniante esperienza di essere stato, attraverso il suo lavoro, un protagonista di un’opera straordinaria, nella quale però lui non ha ufficialmente parte. E poi c’è un altro problema: nessuno gliene ha mai parlato – non ne sapeva niente”.

Come è potuto accadere? Forse il regista friulano, che prima del film si è ampiamente documentato sulle musiche popolari in Campania, ha ascoltato i dischi di Lomax e da lì ha condotto altre, personali ricerche?

Ha conosciuto quelle musiche attraverso il principale collaboratore di Lomax, Carpitella, che con Pasolini condivideva l’amicizia di Moravia e dell’entourage di “Nuovi Argomenti”?

Le ha utilizzate, sic et simpliciter, senza citarne la fonte? Plastino, nel suo libro, non scarta né fa sua alcuna di queste ipotesi, confessando che il mistero rimane.

Una memoria ritrovata, avvincente e persino intrigante, quella di Lomax, Pasolini e l’Irpinia. Originale e preziosa, per una comunità che sappia riconoscere e valorizzare i suoi aspetti più suggestivi. E piena di fascino e di sorprese, lungo sentieri e fili impercettibili eppure significativi, come quelli che hanno spinto una studiosa del valore di Anna Lomax Wood, mezzo secolo dopo il viaggio di suo padre, a ripercorrere una parte di quell’itinerario, precisamente tra il Salernitano e l’Irpinia, in quell’Alto e Medio Sele a cui ha dedicato, dopo il sisma dell’80, la sua tesi di laurea: una ricerca dettagliata e rigorosa, cinquant’anni dopo quella di Alan Lomax, sull’Irpinia post-contadina del dopo-terremoto.

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