Il caso ‘Hillary Sedu’

È nella parola stessa l’ambiguità di chi ha provato a legittimare un episodio che potrebbe connettersi con i tempi cupi dello schiavismo e dell’orrendo corollario del razzismo: la parola è maschera, anzi ‘mascherina’, evocata dalla presidentessa del Tribunale dei minori di Napoli, come causa di ‘confusione’, che renderebbe difficile la riconoscibilità di chi indossa il presidio sanitario. Di qui il via, assieme ad altre argomentazioni per assolvere la psicologa giudice onoraria, il suo molto discutibile ‘a tu per tu’ con l’avvocato Sedu, di famiglia nigeriana, ma in Italia dalla tenerissima età di sei anni. Eh già, come non giustificarla per aver sospettato un furto di titolo, dal momento che Hillary Sedu ha la pelle nera (essendo africano, ndr)? Poteva forse immaginare che un uomo con i quei connotati fosse laureato in giurisprudenza e dunque legittimato ad assistere una migrante per il perfezionamento del permesso di soggiorno? Colta dal dubbio, ecco il nocciolo della questione, la psicologa non si è fidata della parola di Sedu, che fosse davvero un avvocato, nobile professione ‘tipica dei bianchi’ e con un cameratesco “tu”, in attesa di verifiche, gli ha chiesto di esibire il tesserino professionale, ‘che non si sa mai!’. Per non sprecare tempo prezioso è poi andata diritto al sodo e gli ha chiesto “Sei laureato?” che  dire, se Sedu avesse detto il falso, in quanto psicologa lo avrebbe intuito al volo. Il legale avrebbe voluto rispondere per le rime, ma ha privilegiato il compito di dedicarsi all’assistenza della migrante e si è trattenuto. Razzismo? La presidentessa del tribunale difende a spada tratta la psicologa e liquida il caso come frutto di un ‘malinteso’: ha ragione, di malinteso si è trattato, di aver inteso male e rimane in sospeso la domanda: alla giudice onoraria è capitato altre volte di interrogare gli avvocati (bianchi) sull’effettiva appartenenza alla categoria, di interloquire dando loro del tu? Hillary Sedu alla domanda ‘se ritiene di essere oggetto di razzismo’, risponde con acume, appunto da avvocato: “No, questo non è razzismo, è idiozia.  Comunque (rivolto alla psicologa, ndr) aggiunge “Le fornisco un altro motivo per fugare i suoi dubbi: sono anche consigliere dell’Ordine degli avvocati di Napoli”. La coda di questo sgradevole ‘caso’ è nell’intenzione di Hillary Sedu di segnalarlo al Consiglio Superiore della Magistratura.

È giustificato e spaventa lo smanettare di bambini e ragazzini sugli smartphone per connettersi con social ad alto contenuto di pericolosità: esempio sconcertante è la spinta ad atti di violenza estrema indotti dalla frequentazione del micidiale tik-tok. È ancora vivo l’orrore per il caso di una bambina di Palermo che si è tolta la vita esasperando oltre ogni limite la dipendenza dal blackout challenge, sfida di resistenza che purtroppo non spaventa molti giovanissimi, ignari del reale pericolo. Si tenta di porvi rimedio con il divieto di bloccare l’accesso al tik tok ai minori di tredici anni. Preoccupa un quesito: chi assicura che dopo i tredici anni ragazzi e ragazze abbiano gli anticorpi a difesa delle terribili suggestioni del micidiale social e chi, come si garantirà il divieto per i minori di tredici anni?


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