Attacco al potere

L’italiano senza grilli nella testa, cioè scevro da fideiussioni ideologiche per questo o quello di una dozzina e più tra partiti e partitini, è in pieno sconcerto. Proprio non ce la fa a capire perché un minuscolo manipolo di deputati, in rappresentanza di un fiacco 2,9 percento di elettori, riesca a minacciare di scacco matto l’esecutivo che governa. A rompere le uova, nel paniere in bilico sul bordo della crisi, è il soggetto atipico della farsa democratica in scena dal tempo del salutare benservito che ha espulso l’innominabile partner del Carroccio dal governo gialloverde. Giocare con l’asso nella manica, in un contesto politico ‘normale’, avrebbe espulso Renzi dal tavolo del nuovo esecutivo, per gioco scorretto, ovvero per il bluff mascherato con furbizia dell’adesione all’inedita alleanza giallorossa, che nascondeva un velenoso progetto nella media e lunga scadenza. Pd e 5Stelle, presi dall’emergenza di andare oltre lo sciagurato connubio Di Maio-Salvini, ha peccato di ingenuità, ritenendo di aver acquisito la quiete per governare in pace con l’omaggio a Italia Viva di un paio di ministri e qualche sottosegretariato. L’errore di imperizia ha conosciuto aggravanti progressive, di pari passo con la percezione vissuta da Renzi di scalare una montagna invalicabile, ovvero il doppio default di consensi, secondo gli ultimi sondaggi infinitesimali e lo stallo del subdolo proposito di edificare un nuovo polo della moderazione all inclusive, cioè disposto con spregiudicatezza da prima repubblica a imbarcare anche molto di quanto si annida nella palude della destra non golpista.

Renzi, consapevole (stupido di sicuro non è) dell’impervio percorso intrapreso per tirare su la struttura di un soggetto dc-simile, ancora fermo alla fase del sondaggio geologico per le fondamenta, prova allora a farsi largo nel protagonismo della visibilità a ogni costo. Mette in campo la sperimentata offensiva del ‘ci sto, ma non condivido’, delega sé stesso a gestire il ruolo di coscienza critica, si badi bene, del suo governo, che certo, perfetto non è. L’‘attacco al potere’ è avvolgente. Bordate ad altezza uomo su Conte, minaccia di crisi con il ritiro dei propri ministri, pressioni per il rimpasto dell’esecutivo in chiave Italia Viva. Con quale esercito? La task force di quel miserrimo 2,9 per cento esplicita clamorosamente l’imperfezione della democrazia italiana, avvelenata dalla surreale frammentazione della politica, così lontana dalla trasparenza del dualismo progressisti-conservatori.

Abarth, Alfa Romeo, Citroen, Chrisler-Dodge-Ram, Ds Lancia, Fiat, Jeep, Opel Vauxhall, Peugeot: per il sedici gennaio dell’anno in corso è programmato il parto anticipato di ‘Stellantis’, storica fusione di due big dell’automobilismo mondiale. Il sodalizio industriale genera un soggetto di settore che s’intromette nella classifica dei giganti nella solida posizione di quarta potenza, con il binomio interattivo di Fca e Psa: 8,7 milioni di veicoli venduti nel 2019, ricavi per quasi 167 miliardi di euro e profitti per circa 7 miliardi. In sostanza, Stellantis sarà seconda solo a Volkswagen, Toyota e al binomio franconipponico Renault-Nissan-Mitsubishi. Alleluia.

A giornali radio e televisivi, quotidiani, periodici, non è parso vero poter integrare l’ossessiva saturazione dell’informazione Covid dipendente con il ‘fattaccio’ di cronaca nera napoletana, amplificato ben oltre una legittima attenzione, ovvero l’aggressione notturna subita da un rider ad opera di un branco di giovani bulli. Tutto lecito: il disprezzo per la loro vigliaccheria, le analisi sociologiche sul perché della violenza fine a sé stessa. Inverosimile la reiterazione permanente del racconto per intere giornate dell’informazione, peraltro negata a episodi di pari gravità, ma che avvengono altrove, anche più violenti, spesso avvelenati da odioso razzismo o, per citare un esempio calzante della disparità narrativa, i casi di raduni con rissa di giovani e giovanissimi in città del centro-nord, aggravati da forte rischio di diffusione dei contagi.

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