ETIOPIA / LA GUERRA CIVILE DEL NOBEL AHMED

Come nel giro di meno di un anno un Nobel si può trasformare in un carnefice.

Non è la prima volta. Basti rammentare il caso di Henry Kissinger, insignito con l’alloro per la Pace e mandante di stragi in mezzo mondo.

Stavolta succede con il leader etiope Abiy Ahmed, Nobel per la Pace nel 2019 per “la testimonianza senza tempo degli ideali di unità, di cooperazione e coesistenza reciproca”. Giunto al potere solo l’anno prima e ad appena 42 anni, Ahmed rappresentava una speranza per il suo paese, l’Etiopia, firmando subito la pace con l’Eritrea e attivandosi per la liberazione dei prigionieri politici.

Un fuoco di paglia. Un’illusione che si scioglie in pochi mesi come neve al sole.

Non è passato neanche un anno dal Nobel, e a novembre 2020 dà inizio ad una brutale guerra civile, avendo come obiettivo il Fronte popolare di liberazione del Tigray. Lui cerca subito di mettere una pezza a colori: l’operazione viene fatta per “liberare” il territorio tigrino e riportare “il governo della legge” nell’area dove spadroneggiano “le forze terroriste” del Fronte di liberazione.

Ma la realtà è esattamente opposta: perché gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da una forte escalation della tensione, sfociata in sanguinosi scontri inter etnici, che hanno come obiettivo il massacro non solo dei tigrini, ma anche degli orono, l’etnia maggioritaria del Paese.

Non aveva neanche il Nobel al naso, Ahmed, che a dicembre 2019 sciolse il governo di coalizione, inventandosi e insediando al potere un suo “Partito della prosperità”, al quale i tigrini non hanno aderito.

Ma non potevano dare una piccola scorsa alle ultime notizie dall’Etiopia, i soloni di Stoccolma e di Oslo, visto che nella capitale norvegese viene consegnato il Nobel per la Pace?

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