Il trucchetto del falso positivo

«Signurì vuie comm state?». «Grazi’ a dio, ‘na bellezz».

Al giovane che arriva per ricoverarsi nel reparto Covid di un nosocomio partenopeo dà il benvenuto un “paziente” più anziano, già lì da qualche giorno. S’informa sulla salute del nuovo arrivato, hai visto mai fosse un positivo autentico e potesse quindi contagiarlo… Rassicurato, l’anziano se ne resta appoggiato sul letto e riprende a maneggiare il telefonino.

Scene catturate al volo da una telecamera di passaggio. Più che mai eloquenti.

Non si smentisce l’indole del napoletano, perennemente a caccia di qualsiasi ingegnoso sistema per arrangiarsi. Anche dovesse trattarsi di farsi passare per “falso positivo” e trovare , nei reparti di degenza appositamente attrezzati, cure e pasti caldi per qualche settimana, forse perfino un mese.

Sono diverse le segnalazioni pervenute alla Voce sul fenomeno dei “falsi positivi”, un espediente che riguarderebbe come sempre la parte più misera e sofferente di una plebe già disperata. Quella che da sempre – e non solo in tempo di pandemia – ogni mattina va alla ricerca di un pasto caldo e, possibilmente, anche di un bagno pulito o di un letto per dormire.

Ma guai a chiamarli homeless: loro quasi sempre una casa (rectius, un basso) ce l’hanno, solo che ci vivono già altri sette, otto familiari, tutti “regolarmente” alle prese con bisogni elementari, in primis l’alimentazione.

Per certi quartieri di Napoli – venire per credere – il tempo si è fermato a quei primi anni Cinquanta, a Luca Cupiello, costretto a difendere l’unico cappotto dai parenti che volevano andare a venderlo per comprarsi da mangiare. O all’allegra brigata di Miseria e nobilità, quando gli spaghetti, se si aveva la fortuna di trovarseli davanti, bisognava infilarli perfino nelle tasche della giacca, non si sa mai… Né sembra passata molta acqua sotto i ponti da quando Domenico Rea scriveva che, per gli scugnizzi di Napoli, c’è ben poca differenza coi piccoli mendicanti di Nuova Delhi.

Situazioni endemiche, alle latitudini vesuviane, destinate ovviamente ad esplodere con la carestia dilagante da Corovavirus, che ha già fatto precipitare nel baratro della povertà tanta parte della classe media.

«Del resto – racconta un vecchio cronista di giudiziaria – c’è ben poco da meravigliarsi se davvero qualcuno trova il modo di spacciarsi per falso positivo, pur di essere accudito e alimentato dallo Stato, almeno una volta nella vita. Nei primi anni ’70, quando la Giunta comunale guidata da Maurizio Valenzi istituì corsie preferenziali per immettere al lavoro ex detenuti, venne fuori che decine di disoccupati storici, incensurati, pagavano mazzette per farsi “macchiare” la fedina penale e rientrare nelle graduatorie».

Niente di nuovo sotto il sole di Napoli.

Lascia un commento