MARANO DI NAPOLI / IL CASO DELL’EX SINDACO MAURO BERTINI

23 luglio. Titola il Mattino: “La Cassazione esclude legami con la camorra”, a carico dell’ex sindaco di Marano Mauro Bertini.

28 settembre, rititola il Mattino: “La Cassazione conferma le accuse all’ex sindaco Mauro Bertini”.

Ohibò? Possibile che una sentenza della Suprema Corte di Cassazione venga ribaltata nell’arco di due mesi?

Oppure allo storico quotidiano partenopeo hanno le traveggole? E vedono doppio?

La storia è vecchia ma si trascina ancora fino ai nostri giorni.

Una sequela di errori e orrori giudiziari che da un quindicennio stanno mettendo alla gogna l’ex primo cittadino di uno dei comuni più infestati dalla camorra, Marano, alla periferia nord di Napoli, dove hanno sempre spadroneggiato i potenti Nuvoletta (legati negli anni ’80 a Cosa Nostra) e poi i Polverino.

Un prete, Bertini, che arrivava dalla Toscana e, dismessa la toga, fece l’operaio, poi il capo cantiere, quindi il presidente di una cooperativa edilizia rossa, come si diceva un tempo. Piccoli lavori per le famiglie che avevano bisogno, micro appalti pubblici per tirare avanti.

Un forte impegno civile e, soprattutto, sul fronte anticamorra.

Si rimbocca le maniche anche sul versante politico, il prete-operaio-comunista, in zona gli vogliono bene, lo stimano, apprezzano il suo coraggio.

E, dopo un lungo impegno, viene eletto sindaco. Un comunista a governare nel feudo della camorra: un miracolo degno del San Gennaro più in forma.

Ma presto cominciano i guai. Le denunce anonime. Gli attacchi politici. In prima linea un tandem di parlamentari fascisti, autori di decine di interrogazioni contro il sindaco scomodo.

Alcuni magistrati abboccano. E da allora comincia il calvario, nonostante il consenso dei cittadini.

Per farla breve, arriverà addirittura una condanna per gli appalti nell’area PIP (piani industriali particolareggiati) nel comune di Marano. Non solo reati amministrativi e di corruzione (si parla di tangenti), ma addirittura per associazione a delinquere di stampo mafioso!

Il marchio del 416 bis!!

E sapete chi sono i suoi grandi accusatori? Aniello e Raffaele Cesaro, i fratelli di Luigi Cesaro, alias Giggino ‘a purpetta!!! Ossia il parlamentare berlusconiano passato attraverso tutte le cronache giudiziarie possibili, zigzagando tra gag d’ogni sorta: dal “tik tok di Berlusconi” (tradotto: il diktat di Berlusconi) a quel farfuglio degno di Totò in occasione del World Urban Forum che si trovò a presiedere quando era il numero uno alla Provincia di Napoli.

Torniamo a bomba: i rispettabilissimi e credibilissimi fratelli Cesaro puntano l’indice contro Bertini. Quindi scatta il meccanismo infernale che porterà alla condanna dell’ex primo cittadino di Marano, dal 1993 al 2006: senza che in quegli anni nessuno si sia mai accorto di niente!

A febbraio 2020 il Tribunale del Riesame di Napoli conferma i capi di imputazione meno gravi ma – pur ribadendo gli arresti domiciliari – annulla l’associazione a delinquere.

La procura di Napoli (a condurre le indagini è stata la Direzione Distrettuale Antimafia) ricorre contro il Riesame. La decisione passa alla Cassazione, che conferma tutto l’impianto accusatorio.

Compresa, quindi, l’associazione a delinquere.

Resta il mistero su quanto la stessa Cassazione aveva pronunciato appena due mesi prima, secondo la ricostruzione e i titoli de il Mattino.

E, soprattutto, restano tanti buchi neri nella incredibile story.

Ed un senso di profonda sfiducia nella giustizia di casa nostra.

Siamo alla frutta.

 

I DUE ARTICOLI DEL MATTINO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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