Bell’Italia

“Se prima ero solo a ballare l’hully gully / adesso siamo in due a ballare l’hully gully…e se prima eravamo in nove a ballare l’hully gully adesso siamo in dieci a ballare l’hully gully”

Il ‘Domani’ di De Benedetti inverte il senso della canzoncina di Edoardo Vianello. Se nel giorno dell’esordio offriva ai lettori il minimo ‘sindacale’ di venti pagine, oggi dimagrisce e le pagine diventano sedici, ma di scritto tredici, perché tre sono di pubblicità. L’augurio al direttore Feltri e alla proprietà del neonato quotidiano è che l’emorragia di contenuti abbia toccato il fondo. Arioso, oltre ogni prassi dei quotidiani, lo spazio occupato da foto a tutta pagina e vignette in formato tipo esposizione in galleria d’arte, ovvero strategia grafica per limitare il lavoro di scrittura della redazione, evidentemente ridotta ‘all’osso’ e impegnata nel numero odierno a fornire alla tipografia ‘ben’ quattordici articoli, corposi tanto da occupare un’intera pagina. Le notizie italiane e del mondo? In tre colonne a pagina 4: la più lunga (debito pubblico italiano) in 18 righe, la più scarna (bollettino Covid) in sette, il resto (pot-pourri di Grecia, Cina, Berlino, Agrigento, Libano, Casa Bianca, Crimine organizzato) in complessive novanta, ovvero nello spazio che i giornali ‘normali’ riservano alle cosiddette brevi, compito generalmente scansato dai redattori per lo scarso rilievo di cui godono.

 

Nel salotto di ‘8 e ½’, spronato a lasciarsi andare da Lilli Gruber anche sullo scivoloso terreno dei contrasti con il fondatore di la Repubblica, che di recente ha esternato un sorprendente “tra Berlusconi e Di Maio sceglierei l’ex cavaliere”, ecco l’avvelenato parere di De Benedetti: “Né l’uno, né l’altro, ma non intendo commentare quel che dice o pensa un signore anziano, che non è in grado di sostenere domande e risposte. Ha detto che se ne fotte delle mie critiche? Con me deve stare zitto, gli ho dato un pacco di miliardi, è un ingrato. Un consiglio a Repubblica. Don Abbondio diceva che chi non ha il coraggio non se lo può dare. Sta perdendo la sua identità”. Su quest’ultimo punto, come dargli torto?

Il tentativo di deviare da Salvini e dalla Lega la responsabilità delle truffe dei consulenti economici del Carroccio, gode dell’ovvia complicità dei media destrofili, sintonizzati all’unisono sulla lunghezza d’onda del complottismo ‘a orologeria’ della magistratura (in vista del voto del 20 e 21) e dell’estraneità strutturale degli arrestati alla Lega. Per indulgenza plenaria anche la stampa non asservita alla destra è, come dire, timida nel racconto dei soldi versati alla Lega dai suoi commercialisti e continua a citare Manzoni, Di Rubba, Scillieri come personaggi ‘vicini alla Lega’, fingendo di ignorare che i locali di Scillieri ospitavano la sede di ‘Noi per Salvini premier’ e che i due commercialisti, in società con Centemero, tesoriere del Carroccio, sono il direttore amministrativo della Lega al Senato e il revisore dei conti del partito alla Camera. I 49 milioni truffati allo Stato? Spariti, ma la Procura di Genova non molla la presa e si capirà dove sono finiti. Questo, ma con ben altre magagne in corpo, è il partito che gli italiani premierebbero il 20 e 21 prossimi?

 

Giorgia Meloni. Sull’onda dell’indignazione per la morte della giovane donna compagna di un trans, non perde l’occasione, tipica dei politici parassiti della cronaca, per cercare visibilità. Si associa all’esercito di giustizieri, che a ragione condanna e senza attenuanti il fratello della ragazza uccisa per le sue scelte sessuali. Ma da che pulpito arriva l’esecrazione della leader dei neofascisti? Dalla stessa borgatara, che vota no alla legge sull’omotransfobia, con l’intento di estendere i reati d’odio (istigazione a delinquere e o atti di violenza) all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

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