Veleni: 1500, arsenico / 2000, Polonio

Corsi e ricorsi storici, certo in tempi lontani anni luce tra loro: il 500 di Lucrezia Borgia, il secolo in corso. Eppure un fil rouge sembra connetterli: in comune, l’eliminazione con il veleno di avversari ‘scomodi’. Ancora più indietro Seneca, prima, illustre vittima. Il tema occupa grandi spazi dell’attualità con il nuovo (non il primo) attentato alla vita di un tenace oppositore dello zar Putin. Alexei Navalny, per la seconda volta rischia di morire con il veleno. Il caso è addebitato a un regime dispotico, che non ammette contestazioni e induce a un balzo all’indietro di 1.500 anni, al personaggio vivisezionato dagli storici di Lucrezia Borgia, ritenuta avvelenatrice seriale di politici nemici e amanti scomodi (innumerevoli). La ‘diabolica, spietata agente di morte’, protagonista di intrighi di palazzo e sinistri complotti, bella, astuta, fatale, era accreditata di competenza in manipolazione di erbe e sofisticazione di veleni, di tre mariti e tanti amanti spariti in circostanze misteriose, violente. Narrano i suoi biografi che darle la mano era fatale per il contatto con una mistura di arsenico e polvere di visceri animali contenuta nel cavo di un anello.
In tema di sofisticazioni velenose è chiaro, siamo in un altro pianeta, teatro di casi eclatanti, come la morte dell’ex Kgb Litvinenko, ucciso dal Polonio 210, sostanza radioattiva letale, per impedirgli di rivelare i misfatti del Cremlino, o della giornalista Politovskaja, eliminata per la stessa ragione, il primo avvelenamento di Navalny. Il secondo, responsabile chissà quale sostanza mortale ingerita con un tè in aeroporto, ha ridotto il leader dell’opposizione in condizioni gravissime. Con grande determinazione, la moglie, Yulia Navalnaya, ha ottenuto di sottrarre il marito ai medici che molto probabilmente, su mandato del Cremlino, avevano negato il permesso di trasportarlo in Germania con un aereo Ong. Il ritardo nel concedere l’autorizzazione, potrebbe nascondere e l’intenzione di rendere impossibile scoprire di che veleno è stato vittima Litvinenko.
In questo Paese è sovrano il principio dell’impunità, quasi un articolo della Costituzione omesso per pudore dei padri della patria, che hanno consegnato agli italiani un documento di altissimo profilo democratico. Cosa impedisce di conoscere nome e cognome di tutti i parlamentari e degli uomini che operano in nome degli italiani negli enti locali, e in barba all’etica personale e istituzionale si sono infilati nel provvedimento teso ad alleviare il disagio da lockdown di chi nei mesi di clausura non ha potuto svolgere il proprio lavoro? Giorno dopo giorno è scemata l’attenzione sul caso dei furbastri e il bavaglio resiste agli ultimi appelli perché siano noti, come invita a fare anche il Garante della privacy. Il mare del silenzio, rotto solo dall’identità di tre leghisti colti in flagrante, ha il sapore dell’omertà generalizzata dei partiti e non è un bell’esempio di correttezza istituzionale, per dirla con un eufemismo.

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