L’immunità e il Covid-19 non c’entra

The big America, il Paese più ricco della Terra, l’alleato occidentale del nucleo più significativo dell’Europa, ‘amico’ dell’Italia, frana clamorosamente nel flop del contrasto alla pandemia. In più Stati dell’Unione la diffusione incontrollata del Covid-19 è da terzo o quarto mondo. Americani del Texas denunciano lo scandalo di letali attese dei pazienti con sintomi per sottoporsi ai test e di respingimenti dei centri sanitari sopraffollati o sforniti dei reagenti. Attese anche di una settimana per conoscere il risultato dell’indagine. Il disastro provocato da Trump e da suoi incoscienti emuli di molti Stati, che hanno sottovalutato la pericolosità del Covid-19, è immane e il baratro in cui presidente e governatori hanno gettato milioni di yankee è nella terrorizzante previsione di 200mila morti da coronavirus tra settembre e ottobre. Conseguenze sul voto di novembre per la Casa Bianca?  Di sicuro, Trump rischia la rielezione. Pagherebbe così la caparbietà con cui ha sottodimensionato il pericolo di pandemia e la successiva incapacità di contenerla, con l’inevitabile paralisi delle attività produttive e sociali. La falla nel governare l’incontrollata diffusione del virus ha determinato la deleteria discrezionalità dei governatori nel prescrivere le norme di sicurezza, come il distanziamento. Non meno disastroso è stato il comportamento negazionista iniziale del tycoon.
Su questo impianto di censura per l’incoscienza per nulla casuale di Trump, sobillato dalle grandi potenze economiche Usa ostili allo stop della produzione e al conseguente mancato profitto, si innesta la grande questione che oltrepassa il caso personale del presidente americano, ma al tempo stesso ne trae spunto. Il punto di partenza è il privilegio dell’immunità, che se assecondasse il principio dei pari diritti di ogni essere umano, dovrebbe garantire o tutti o nessuno. Non è così e dunque solo chi ha nelle mani i poteri legislativo e decisionale si dota di uno scudo garantista in grado di espropriare la giustizia del primario dovere di giudicare e condannare i reati chiunque ne commetta. Per valutare l’esito della discriminante, è sufficiente scrutare il capitolo degli infiniti ‘no’ alle richieste di autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari italiani o affacciarsi nell’archivio delle istruttorie a carico di deputati o senatori italiani e scoprire l’incredibile numero di assoluzioni preventive.
La Corte Suprema degli Stati Uniti sentenzia che Trump non è al di sopra dellelegge ed è un’inversione di tendenza giuridica di straordinaria importanza. Non gli è concesso cioè di tenere nascosto il contenuto delle sue dichiarazioni dei redditi (a suo tempo Al Capone finì in galera per frode fiscale) ma i dati, prima del voto, non saranno comunque pubblici, disponibili per il Congresso, per il Parlamento americano, forma indiretta di immunità.  Indaga in parallelo la Procura di New York. Vuol saperne di più su spese ‘clandestine’, cioè in ‘nero’ del tycoon, ma una volta che ne avesse accertata la natura, sarebbe nell’identica condizione di non poterla divulgare. La Corte, altro parere non condivisibile, nega che il Parlamento possa indagare Trump al di fuori delle procedure di impeachment. Una parziale rivincita il massimo consesso giuridico degli States se l’è presa: contro la politica di annessioni del presidente, ha sancito che una parte consistente dello Stato di Oklahoma è degli indiani. Il verdetto della disputa giuridica Trump e del suo potente studio legale opposti alla Corte Suprema si chiude con la negazione di sette magistrati su nove dell’immunità per evitare che il presidente sia attaccabile dalla magistratura ordinaria.
L’idea di una democrazia perfetta, mito molto affine al miraggio, chiede per quale dogma irremovibile, a un essere umano nel ruolo di servitore della collettività, cioè eletto, sia concesso di commettere reati e farla franca con l’immunità. L’ambiguità dell’assunto è pari all’autostima del tutto ingiustificata dei nostri legislatori che hanno aggettivato i parlamentari con il nobile attributo di ‘onorevole’, titolo abrogato dal regime del Ventennio e da una successiva legge italiana.

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