Solidarietà “in sospeso”

Per decenni il celebre motto “Vedi Napoli e poi muori” ha subito critiche e contestazioni dei non partenopei. Il capoluogo lombardo ha dedicato loro perfino una la risposta in musica, con una delle rare melodie meneghine. “…Canten tucc lontan de Napoli se moeur, ma po’ i vegnen chi a Milan” (‘cantano lontano da Napoli si muore, ma poi vengono a Milano’). Da alcuni anni in qua il ‘nordismo’ si è redento, affascinato da una città unica al mondo. In parallelo si è fatto strada, come una vera, intima rivoluzione, il pentimento dei tanti napoletani che si sono cimentati per anni nell’incomprensibile esercizio dell’auto denigrazione, del perverso adeguamento alla cattiva letteratura, che media e non solo loro, hanno alimentato a dismisura. La lodevole minoranza che ha tenacemente contrastato i detrattori infarciti di luoghi comuni, strizzate d’occhio al presunto dominio del folclore, di letture malevole delle negatività insite in ogni metropoli, ha raccontato la Napoli delle eccellenze negli ambiti della musica, del cinema, del giornalismo non prevenuto, ha dato vita a un’antologia virtuale delle eccellenze ed è infine riuscita a far breccia nel blocco granitico dei mancati riconoscimenti. L’operazione rivalsa gode  di respiro internazionale e l’ante-Covid lo ha testimoniato con la più convincente cartina di tornasole, con il racconto della città invasa dal turismo, l’esaurito di alberghi, B&B, ristoranti, Musei e Gallerie. Svaniti nel nulla i problemi di Napoli? Assolutamente no. Le ragioni dell’innamoramento collettivo non cancellano i consolidati problemi del trasporto, dell’igiene urbana, della microcriminalità: l’inedito contrasto a tutto questo è nell’insieme di titoli del saggio “Perché amo Napoli”, tutto da scrivere. Con spirito minimalista, ma di alto profilo, l’incipit del racconto a venire non si avvale delle lodi consolidate per il patrimonio ambientale e culturale di Napoli. Aggancia invece la contemporaneità della cronaca per motivare un benemerito “Chapeau, Napoli ti amo”.
C’erano una volta il ‘Caffè sospeso’, poi la ‘pizza in sospeso’ e i cesti del ‘Se non hai prendi, se hai dona’, il ‘paniere della solidarietà’ calato dai balconi, pieno di cibo per chi non ha da mangiare: già, e la mente? Il suo nutrimento? Napoli dice di sì anche questo, perché se non hai come nutrire il corpo, figuriamoci se puoi alimentare l’intelligenza. E allora? Allora il ‘libro sospeso’. Succede a Scampia, uno dei rioni periferici di Napoli, che a dispetto della marginalità progettuale con cui è nato, ora inventa quanto gli è stato negato. Rosario Esposito La Rossa, nominato Cavaliere della Repubblica da Mattarella, titolare di un laboratorio sociale dal significativo titolo ‘Scugnizzeria’ dove si svolgono attività artistiche e non solo: “Vieni in libreria, compri il tuo volume, poi ne scegli un altro per un ragazzo povero del quartiere e glielo lasci alla cassa. Decidono i librai a chi darlo, conoscono le storie di tutti. Oppure lasci una piccola cifra e il ragazzo privo di mezzi sceglierà un libro, che gli sarà consegnato come un regalo della libreria”. In due anni, ne sono stati donati 800. “A Scampia, mancava una libreria da 40 anni, ora c’è ed è l’epicentro di una nuova socialità. Scampia, purtroppo assurto a notorietà dispregiativa con le storie di ‘Gomorra’, ha livelli drammatici di disoccupazione, giovanile, povertà, evasione scolastica. L’idea di Scugnizzeria del ‘libro sospeso’ è solo un corollario del teorema che progetta di ‘normalizzare’ un pezzo di città da amare come Mergellina o Posillipo sullo sfondo di invenzioni allusive: la ‘Piazza dello spaccio dei libri’, la ‘letteratura stupefacente’, i ‘pizzinidella legalità’ che esorcizzano il negativo della criminalità.
L’Italia dei politicanti è un mestieraccio, ben pagato e utile all’esercizio del ‘pro domo sua’, che produce effetti collaterali in termini di potere spicciolo, prebende supplementari e in casi particolari substrato per conflitti clamorosi di interesse, per esempio per imprenditori che si danno alla politica con l’obiettivo di favorire in mille modi le proprie attività. È il caso di Trump, che in qualità di Presidente Usa, solo dirne una, ha ospitato in uno dei suoi lussuosi alberghi (a pagamento) una folta delegazione straniera. Un bel po’ di italiani si sono chiesti ingenuamente di quale patologia soffra un miliardario come Berlusconi per imbarcarsi sulla nave perigliosa della politica. Il perché è di facile comprensione. Basta riflette sul ruolo del sistema televisivo e degli strumenti per diffonderlo, regolati da leggi e nome, viziate dalla presenza di propri uomini nelle commissioni di vigilanza e parlamentari. Bene, anzi male: cosa salta in testa al vetusto Prodi? Interrogato si sbilancia in uno stupefacente “Berlusconi nella maggioranza di governo? Non è un tabù”. Ma l’ex presidente del Consiglio soffre di amnesia, ha cancellato dalla mente i trascorsi giudiziari del “Meno male che Silvio c’è?”
Non molto tempo fa il rampollo dei Savoia Emanuele Filiberto, intraprendente titolare di vendita on de road (ambulante9 di generi alimentari in quel di New York, smentì l’indiscrezione sul progetto di fondare il ‘centesimo’ partito italiano. Era una bugia. Per accodarsi a Forza Italia, Fratelli d’Italia, Italia Viva, che strumentalizzano il nome del nostro Paese, il ‘nobile’ giovanotto annuncia la nascita con sede a Torino o Roma di ‘Realtà Italia’ e commenta “Se deve finire in politica, che sia”. Parla come un veterano, giura di aver un progetto, dice di esser un aggregatore. Probabilmente rende felici gli ultra ottantenni malati di nostalgia monarchica. Alleluia.

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