STOP AL TRAFFICO DI PRIMATI DA LABORATORIO

I primati non umani, in particolare i macachi, sono una specie ancora molto utilizzata a fini sperimentali, e in questi giorni, di corsa all’oro alla ricerca spasmodica di un vaccino per il Sars-Cov-2, sentiamo quotidianamente notizie che annunciano promettenti cure contro la malattia cha ha causato l’emergenza sanitaria mondiale, ottenute con studi su animali, nonostante gli evidenti limiti legati ai tempi, ai costi e all’attendibilità degli stessi [1], oltre alle dovute considerazioni etiche.

 

Le statistiche sui primati usati nei laboratori sono sempre più allarmanti, con ripercussioni a livello ambientale e sociale in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi poveri, dove vengono alimentate situazioni illegali che portano a un impoverimento dell’habitat e degli ecosistemi.

 

Le scimmie utilizzate nei laboratori europei, infatti, provengono quasi interamente dai paesi Extra UE. Se consideriamo che tra il 2015 e il 2017 il numero di primati non umani utilizzati in Europa è aumentato del 15%, e che il macaco a coda lunga, macaca fascicularis, è stata la specie più utilizzata, registrando un aumento del 16% in soli due anni, è facile intuirne le implicazioni nei Paesi esportatori come le Mauritius, da cui proviene il 59% dei macachi che arrivano in Europa, con un traffico di 8’000 animali ogni anno e decine di migliaia di scimmie detenute in allevamenti in tutto il Paese. Nel 2017, infatti, le Mauritius rappresentavano un quinto (21%) delle esportazioni mondiali di primati vivi [2].

 

LAV da anni, insieme alle maggiori associazioni animaliste europee, sostiene una campagna per chiedere che l’orrore rappresentato dal commercio di questi animali, dalle Mauritius, abbia fine [3]. Un commercio responsabile di enormi sofferenze per questi animali, intelligenti e sensibili: dalla cattura nelle foreste, con la separazione forzata delle madri dai cuccioli, alla prigionia in condizioni drammatiche negli stabilimenti di riproduzione, fino al trasporto nelle stive degli aeroplani (con profondi e duraturi effetti sul benessere degli animali, testimoniato da numerosi studi scientifici [4,5]), fino all’arrivo alla destinazione finale: il laboratorio (https://www.dailymotion.com/video/xexi66).

 

Alla luce della grave situazione mondiale che stiamo vivendo a causa della diffusione del COVID-19, è fondamentale attuare un cambiamento e soppesare tutte le azioni umane che hanno contribuito a questa drammatica emergenza. Cambiamento che non può non riguardare anche il ricorso a specie esotiche e selvatiche, e degli animali in generale, per fini sperimentali.

 

L’Europa si è posta il traguardo di una ricerca senza animali, e deve quindi incentivare concretamente i modelli di ricerca human-based, sia per avere una scienza attendibile e sicura, ma anche per mettere fine al drammatico traffico di animali prelevati dal loro ambiente naturale per finire dietro le gabbie di un laboratorio a migliaia di chilometri di distanza dal loro habitat. – afferma Michela Kuan, responsabile LAV Ricerca senza animali – Non dobbiamo tamponare l’emergenza, ma prevenirla ed è ora che Governi, Istituzioni, e ogni singolo ricercatore, si impegnino per evitare qualsiasi forma di violenza e sfruttamento economico che pone sulla distruzione di un luogo, e di chi lo abita, le sue fondamenta”.

 

Per questo è fondamentale fermare il traffico di animali destinati ai laboratori (https://www.change.org/nontrafficoanimali); e investire concretamente nella prevenzione delle malattie e nella ricerca scientifica “human based”: è il quinto punto del Manifesto LAV #noncomeprima, per una nuova normalità (https://www.lav.it/chi-siamo/manifesto-lav): 6 obiettivi per tutti, cittadini, aziende, Istituzioni, condivisibili in toto o singolarmente, per far sì che questa pandemia sia l’ultima.

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