COVID 19 / SCIENZIATI FARLOCCHI & GIALLO IDROSSICLOROCHINA

Il re è nudo. I virologi “tanto a intervento” in tivvù sputtanati. Scoperti i giochi delle case farmaceutiche sulla pelle dei cittadini a tutto Covid-19.

Ci volevano le frasi di Alberto Zangrillo ai microfoni di un’attonita Lucia Annunziata per far capire finalmente agli italiani la verità oltre le cialtronerie e le cifre a vanvera diffuse fino ad oggi dalla crema dei virologi (sic) di casa nostra.

 

IL VIRUS E’ MORTO. MA LORSIGNORI NON SE NE SONO ACCORTI

“Il virus da un mese è morto. Da trenta giorni non abbiamo più nuovi pazienti nelle nostre terapie d’urgenza al San Raffaele, sono vuote”.

Parole, quelle di Zangrillo, che non lasciano spazi a dubbi. Pesate e ripesate dal primario che conosce bene – e lo rimarca a chiare lettere – la valenza delle sue affermazioni.

Un autentico ceffone ai tanti saltimbanchi di alambicchi & provette, i soloni che per mesi hanno dato – e continuano a dare – i “numeri” attraverso i media di stato, diffondendo “scientemente” e “scientificamente” una pandemia di paura, di terrore che – a questo punto – non può essere definito in altro modo che del tutto ingiustificato. Con ogni probabilità studiato a tavolino.

Fino a prova contraria, la legge italiana prevede espressamente un reato: il procurato allarme, a carico di chi – pur avendo a disposizione gli strumenti di conoscenza ad hoc – semina quel panico, peggiore dello stesso male oscuro che a parole si vorrebbe contrastare.

Giuseppe De Donno. In apertura il professor Alberto Zangrillo durante il programma “Mezz’ora in più”.

Non è uno scienziato qualunque, Zangrillo, sempre etichettato come “amico e medico personale di Berlusconi”. Avrebbe tutto da perdere, nel pronunciare parole a vanvera. E invece ha il coraggio di esporsi, di schierarsi contro Big Pharma e dei suoi sporchi interessi, contro quei Soloni al soldo che se ne fottono della salute dei loro pazienti, di tutti i cittadini.

I media danno subito largo spazio a quei Vate che cercano di ridicolizzare Zangrillo e, soprattutto, la fondatissima tesi che il virus è morto da almeno un mese. Un esempio per tutti: Locatelli-Crozza, che nel suo strampalato “scientifichese” parla di tesi pericolosa e dannosa per tutti.

A questo punto, sorge spontanea una riflessione da novanta.

A chi spetta, ora, la parola per verificare se ha ragione Zangrillo e quel gruppetto di medici e ricercatori “controcorrente”, come Giulio Tarro e Giuseppe De Donno, i quali hanno sempre teso a gettare acqua sul fuoco e ad indicare vie terapeutiche che fanno a pugni rispetto a quelle espresse da Big Pharma?

Oppure quei Soloni che dettano legge ogni giorno in tivvù e sui media, genuflessi davanti alle case farmaceutiche, che parlano tutti lo stesso linguaggio di paura?

Deve intervenire al solito la magistratura per far chiarezza? Quella magistratura, fra l’altro, oggi alle prese con la sua stessa Magistratopoli?

Certo è che non la potrà passare liscia chi ha procurato quel panico e cerca di lucrare affari sulla pelle dei cittadini.

 

IL GIALLO IDROSSICLOROCHINA

Così come per il “caso clorochina”. Un altro giallo che più giallo non si può, in grado di riproporre, più o meno, le stesse logiche.

Pochi giorni fa la potente AIFA, l’associazione italiana per il farmaco, vieta l’uso dell’idrossiclorochina come farmaco anti coronavirus. A suo parere, infatti, “nuove evidenze cliniche indicano un aumento di rischio per reazioni avverse a fronte di benefici scarsi o assenti”. A quanto pare, si tratterebbe di complicanze cardiovascolari.

Giorni prima era intervenuta l’Organizzazione Mondiale per la Sanità a mettere in guardia circa l’utilizzo della clorochina.

E alcuni giorni prima, era stato un articolo pubblicato su “Lancet” a puntare i riflettori sullo storico farmaco anti artrite utilizzato in mezzo mondo e “riscoperto” come possibile presidio anti covid – nelle sue fasi iniziali – dal luminare (anche lui controcorrente) francese Didier Raoult, animatore dell’avamposto di Marsiglia sul fronte delle malattie infettive.

Uno studio che più “sgarrupato” non si può, quello di Lancet, la celebre rivista scientifica che ogni tanto, però, incorre in clamorosi autogol, pubblicando improbabili studi, caso mai firmati da autori in palese conflitto di interesse.

E così è successo per la “fake story” uscita giorni fa sulla rivista.

Scrive Maurizio Blondet: “Un articolo imbarazzante, per il prestigio e l’autorità della storica rivista di medicina. Imbarazzante già dagli autori, due cardiologi e un ex chirurgo vascolare, ora uomo d’affari, nessuno dei quali ha mai trattato un malato di Covid, mentre hanno trattato molto la promozione di farmaci, a pagamento; più che scienziati, simili a quegli ‘informatori scientifici’ stipendiati dalle Case, che fanno anticamera negli studi medici per raccomandare ai dottori l’ultimo medicinale. Cosa che risulta, perché i tre hanno dovuto indicare, come si usa, in calce alla pubblicazione, i loro potenziali conflitti d’interesse nella causa”.

In questo caso – l’articolo di Lancet – si tratta di una sponsorizzazione al contrario, ossia di una vera e propria delegittimazione della idrossiclorochina, il cui utilizzo nelle fasi iniziali del Covid-19 viene auspicato da moltissimi medici di base e da parte di quei ricercatori non al sevizio di Big Pharma.

Ma sapete qual è il reale motivo della guerra tra papaveri della ricerca e sanitari autentici? Il costo del farmaco. Praticamente zero. In farmacia una confezione di Plaquenil costa 1 euro e 20 centesimi: ovviamente viene venduta dietro presentazione di ricetta rilasciata dal medico di base, il quale a sua volta la prescrive in base all’indicazione dello specialista, “per artrite reumatoide”.

D’ora in poi, ogni altra prescrizione, ossia come trattamento anti Covid, non verrà più accettata dal nostro sistema sanitario nazionale, dopo il disco rosso decretato dall’AIFA, che ovviamente fa gli interessi non dei cittadini ma delle case farmaceutiche.

Bill Gates

Come del resto l’OMS, il cui finanziatore numero uno è il “filantropo” Bill Gates, oggi tutto alle prese con gli affari per i vaccini sul fronte del coronavirus. Business a palate mascherati – è il caso di dirlo – da interventi sempre tanto umanitari…

E’ la stessa storia del “plasma iperimmune”. Così come una confezione di clorochina costa poca più di un euro, costa ben poco una sacca di plasma iperimmune, 80 euro, come fanno sapere gli addetti ai lavori e ha sbandierato ai quattro venti (finendo per subire un processo di crocefissione) lo pneumologo dell’ospedale “Carlo Poma” di Mantova, Giuseppe De Donno.

Ovvio che un prezzo così basso sia un pugno in faccia per Big Pharma. E in questo caso per Kedrion, la corazzata di casa Marcucci che si è subito tuffata nell’affare, per “industrializzare” un prodotto altrimenti quasi gratis.

Alla “clorochina story” è dedicato l’ultimo capitolo di un fresco instant book scritto dalla giornalista d’inchiesta Serena Romano, titolato “Se errare è umano…”. Lo potete leggere tutto cliccando su questo LINK .

 

 

Ultimo capitolo … senza titolo

I fatti accaduti nelle ultime settimane non solo hanno fatto slittare la fine di questo instant book (che doveva terminare ai primi di maggio, insieme alla quarantena) ma rendono arduo completare l’ultimo capitolo, abbozzare un titolo e un finale: che perciò restano sospesi. Perché ai drammi della pandemia, ai morti, al disastro economico, alle angosce per il futuro, ora si aggiungono interessi e retroscena che gettano un’ombra cupa sulla storia del coronavirus all’italiana. E perciò cresce anche la preoccupazione che il Caronte scelto dal Governo per traghettarci fuori dall’emergenza, possa rimanere a Palazzo Chigi più del previsto.

Comincia a diventare inquietante, infatti, l’accentramento del potere scientifico nelle mani di una burocrazia opaca e scadente – OMS, AIFA, ISS – grazie alla quale il potere si esercita di più e si nota di meno: anche perché l’accentramento in una sola task force la rende più cedevole alle pressioni esterne o delle lobbies per le quali è più efficace operare su una realtà centralizzata che su tante realtà regionali sparse sul territorio. Spaventa, inoltre, questo “Carrozzone di saggi” che sembra potersene fregare delle proteste di cittadini, medici, scienziati, intellettuali, giornalisti al punto da non rispondere alle loro richieste, da non sentirsi in dovere di dare delle spiegazioni sulla situazione sanitaria che abbiamo vissuto e stiamo vivendo. E preoccupa il piacere del comando che può prendere la mano a chi ha assaporato la possibilità di mettere in fila i cittadini come tanti soldatini facendo leva sulla paura: e magari potrebbe cedere alla tentazione di continuare ad alimentarla – pur senza motivazioni scientifiche a sostegno, oltre quelle vaghe e generiche fornite dal carrozzone di saggi – perché così è più semplice ottenere il rispetto delle regole. In altre parole preoccupa la tentazione paternalistica di trattare gli italiani come irresponsabili e inetti, nonostante abbiano dimostrato un senso di responsabilità sicuramente maggiore di coloro che glielo hanno chiesto: rimanendo a casa, per esempio, pur avendo intuito che i tempi della quarantena si allungavano non per colpa del virus, ma di chi forse prendeva tempo perché non sapeva che fare, come fare tesoro degli errori commessi, che cosa diavolo escogitare per avviare la Fase 2.

E forse per questo ora i cittadini cominciano ad essere studi e ad arrabbiarsi. Come Massimo Cacciari (25 maggio ad Ottoemezzo La7) che ha dichiarato esasperato: “Questa situazione non può essere più gestita in modo centralistico e burocratico con regolamenti assurdi, grotteschi, di 50 pagine che non tengono conto delle innegabili differenze da regione a regione… è grottesco il tentativo di regolamentare a livello centrale le distanze da tenere – 1 metro, 2 metri – o pretendere di stabilire chi si può frequentare, se congiunto di primo o secondo grado come è stato fatto… Oggi ormai la situazione va gestita a livello regionale, perché è l’unico modo per tentare di farlo in maniera articolata e intelligente: a differenza del centralismo che è l’esatto contrario dell’intelligenza”.

E proprio di questo forse, i cittadini sono stufi: di essere trattati da cretini da chi è meno intelligente di loro. E dall’essere stufi ed arrabbiati, a diventare diffidenti verso una scienza poco chiara e trasparente, il passo è breve. Non a caso, dopo la massiccia richiesta di tamponi – negati senza un chiaro motivo – ora gran parte dei cittadini selezionati per il test sierologico si rifiutano di farlo: ci si è chiesti perché? Forse perché la gente non ha capito che cosa succederà se il test risultasse positivo, non si fida di come verrà utilizzato quel dato, ha compreso che è inutile chiedere spiegazioni che non le verranno date, per cui compie l’unico gesto decisionale che le resta: si sottrae.

E questo l’ha intuito per esempio il Presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che per evitare altro panico e pasticci inutili, il 28 maggio ha ritirato la disponibilità alla sperimentazione dell’app Immuni. Come spiega in una lettera alla Conferenza delle Regioni: “Immuni prevede non la ricostruzione della catena di contatti dei soggetti risultati positivi, come chiesto dalla Regione per integrare il lavoro oggi svolto manualmente, bensì l’invio di un sms ai cittadini entrati a contatto con un contagiato. Ciò significa che si passerà da una gestione affidata ai Servizi sanitari a un’azione diretta (e priva del supporto di professionisti) dei cittadini, a cui competerà l’onere di chiamare il medico di base: una soluzione poco avveduta che rischia di ingenerare panico o, nel caso in cui il cittadino decidesse di non rivolgersi al medico curante, di vanificare l’efficacia dell’app”.

Questo il risultato, dunque, di scelte e informazioni ambigue, carenti, approssimative, cadute a pioggia sulla testa dei cittadini: i quali, però – considerato come hanno utilizzato tanti strumenti tecnologici in questo periodo – sono più preparati e in grado di informarsi di quanto si creda. E forse anche per questo sono stufi dei “salottini della scienza” di “Che tempo che fa” contro i quali alla fine sono partite denunce ed esposti proprio di associazioni di consumatori.  Le denunce del Codacons, comunque, non sono riuscite a fermare la messa in onda dell’ultima puntata di “Che tempo che fa coronavirus” (del 25 maggio) in cui, dal servizio pubblico televisivo, è stato dispensato il verdetto finale sulla pandemia e sugli scenari futuri, al quale gli italiani, da bravi cittadini, dovrebbero adattarsi. L’ultima trasmissione da commentare in quest’ultimo capitolo: perche emblematica di certi messaggi poco chiari, a volte contraddittori che generano insofferenza e diffidenza.

Roberto Burioni ospite fisso di Fabio Fazio a Che tempo che fa

Il clima è il solito: salottiero. Burioni, a dimostrazione della grande confidenza che nutrono fra loro “scienziati al massimo livello mondiale” (come li ha presentati Fazio) saluta con un “ciao” i due ospiti che appaiono in collegamento. Il primo è Rino Rappuoli presentato da Fazio rivolgendosi a Burioni “che dici lo possiamo dire… tanto è uno scienziato talmente grande… ma sì…diciamolo…” come direttore scientifico della divisione vaccini della GSR. L’altro è Andrea Antinori direttore immunodeficienze virali dello Spallanzani. Così, con un Fazio raggiante che non sta nella pelle per la voglia di rivelare la grande sorpresa e Burioni, che come un giocatore di poker, si “trizzea” la sorpresa come la carta vincente prima di scoprirla, è stata annunciata la grande notizia: già si è trovato un vaccino. “Eh sì – ha detto Burioni – perché oggi la scienza consente di fare miracoli e di trovare in una settimana quello che in passato richiedeva mesi”. Peccato, però, che andando avanti nella chiacchierata, si scopre che il vaccino non è proprio dietro l’angolo: “Certo, ora la ricerca corre più veloce… sono ottimista… certo tutti lo vorrebbero a settembre o a fine anno… ma non penso per quella data… forse a metà 2021… o forse alla fine del 2021”, butta lì fra un sorriso e l’altro Rappuoli.

Come un pallone bucato, la notizia si sgonfia. Ma per fortuna ci pensa Burioni a tirare subito sù il morale riportando gli italiani a sperare: “Insomma, forse questo virus ci creerà ancora qualche problema, ma come si vede ci sono grandi speranze e ottimismo: e anche se ora questa trasmissione è alla sua ultima puntata, noi vi informeremo da Medical Facts seguendo gli sviluppi e tenendovi aggiornati”… Questo il succo. Per cui: meno male che c’è Burioni e la sua rubrica a sopperire al Servizio Pubblico quando questo si interrompe. E quanto a “qualche piccolo problema” – che in questo caso, dato il tema, dovrebbe essere ancora qualche ammalato, qualche morto… – sarà roba da poco, perché poi arriverà il vaccino che SARA’ L’UNICA VERA SOLUZIONE: perché, per dirla con Burioni, “il vaccino non è un’opinione”.

E se in tutto questo parlare senza dire niente di concreto, a qualcuno fosse venuto il dubbio che nel frattempo si può sopravvivere grazie a una cura, questa speranza è stata subito smentita dall’altro ospite della trasmissione, Andrea Antinori. Che alla specifica domanda di Fazio sulle cure possibili, risponde, in sintesi, che … noi abbiamo imparato a gestire meglio questa malattia ma dal punto di vista terapeutico non abbiamo terapie efficaci, perché tutte quelle adottate finora sono state consentite, come si suole dire “per uso compassionevole”, perché c’era un’emergenza, ma non sono state sottoposte a studi randomizzati né prove controllate.

In realtà, il fatto che manchino “studi specifici, randomizzati” sui farmaci utilizzati in maniera sperimentale durante l’emergenza, ma rivelatisi VITALI per migliaia di pazienti in Italia e nel mondo, non è una scusante, ma un’aggravante per l’AIFA: che, come si è visto, è sollecita o titubante ad approvare o vietare farmaci, a promuovere o ad affossare sperimentazioni, secondo convenienza più che scienza. Ma andiamo avanti: perché Antinori, proprio per esemplificare quanto sia pericoloso l’uso di farmaci non sufficientemente validati, cita l’idrossiclorochina, per la quale, dice, mancano studi specifici sull’uso per il Covid19 e proprio di recente la rivista Lancet ha messo in guardia dai gravi rischi cardiovascolari connessi al ricorso a tale farmaco.

Così a trasmissione terminata, seguendo l’incitamento cartesiano – “la mia unica certezza è il dubbio” che in questo caso sconsiglia di prendere per oro colato le affermazioni di Antinori, di Lancet e dell’Aifa – faccio quello che probabilmente avranno fatto altri telespettatori: una verifica con una piccola ricerca via internet su “Lancet e idrossiclorochina” . Ed ecco il succo di uno dei tanti articoli su questo tema, (IL FATTO 26 maggio) qui riportato in sintesi, ma che andrebbe letto INTEGRALMENTE.

Questa vicenda, infatti, ha un retroscena politico e scientifico di cui tenere conto, senza il quale la citazione di Lancet rimane incomprensibile. Donald Trump uno dei principali sostenitori dell’idrossiclorochina, ha recentemente sospeso i finanziamenti americani all’OMS che, a sua volta, ha sospeso la sperimentazione già avviata sull’idrossiclorochina. Se l’OMS lo abbia fatto per ritorsione o meno non si sa: bisognerebbe chiederlo a Bill Gates … Ironia a parte, questa presa di posizione dell’OMS avrebbe determinato lo STOP alla sperimentazione anche da parte dell’AIFA. In ogni caso, sia l’OMS che l’AIFA avrebbero giustificato lo STOP anche con l’articolo di Lancet che parla dei rischi cardiovascolari connessi all’uso dell’idrossiclorochina”.

Questa dunque è la cornice un po’ più precisa in cui inserire la notizia data da Antinori e da completare con la lettura dell’articolo di Lancet in questione, magari con l’aiuto di qualche commento qualificato: come per esempio, il parere di Andrea Savarino (sul Fatto già citato) il ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità che nel 2003, fu quello che propose l’idrossiclorochina contro Sars1, insieme a Roberto Cauda (Direttore Malattie Infettive del Gemelli) e ad Antonio Cassone (ex direttore del Dipartimento Malattie Infettive di Iss).

Donald Trump

Alla domanda su che cosa ne pensa in genere di questa vicenda, Savarino risponde: “Purtroppo questa ricerca soffre dall’esser stata presa in mezzo nell’agone di una battaglia politica. Donald Trump, uno dei principali sostenitori dell’idrossiclorochina, ha recentemente sospeso i finanziamenti americani all’OMS che, a sua volta, ha sospeso la sperimentazione sull’idrossiclorochina, uno dei farmaci che aveva destato maggiore interesse nei trattamenti precoci contro Covid 19. Di qui lo stop alla sperimentazione anche dell’Agenzia del farmaco… Personalmente ritengo che sia davvero controproducente che ricerche scientifiche, specie quelle con potenziale impatto sulla salute pubblica, vengano prese in ostaggio dalla politica”.

Entrando poi nello specifico dello studio di Lancet in base al quale l’Oms ha sospeso lo studio sull’idrossiclorochina, viene chiesto a Savarino: “l’idrossiclorochina aumenta la mortalità nei pazienti trattati”? Savarino risponde: “Da un’analisi dei dati della pubblicazione non è possibile trarre questa conclusione.”

Al che l’intervistatore insiste per approfondire: “la randomizzazione, nell’articolo su Lancet, con quale criterio è stata concepita?” Risposta: “Purtroppo non è stata effettuata randomizzazione alcuna. Questo è uno studio osservazionale retrospettico. Non ha la forza di una sperimentazione clinica randomizzata… Lo studio è influenzato da una distribuzione non omogenea di fattori di rischio preesistenti… Infine, i limiti dello studio si evincono dal fatto che ha fallito nel dimostrare il contributo del fumo di sigaretta all’incidenza delle aritmie, un’associazione ampiamente documentata in letteratura, mentre qui scompare”.

Ci sono pubblicazioni, come si dice in ambito scientifico “autorevoli” che riportano dati diversi da The Lancet? “Ci sono molte di queste sperimentazioni, alcune randomizzate. Alcune riportano un effetto benefico dell’idrossiclorochina, altre no, per questo sono in corso ulteriori ricerche. Ma un disastro di questo genere in termini di mortalità (come quello segnalato da Lancet ndr) non è stato riportato da nessuno. In Europa è in atto la sperimentazione clinica DISCOVERY, condotta con tutti i dovuti crismi. Anche qui è stata già effettuata un’analisi ad interim, e, di nuovo, se il farmaco avesse avuto qualche effetto collaterale inaccettabile, la sperimentazione clinica sarebbe stata interrotta. Invece, i responsabili del trial RECOVERY, nato come un braccio di DISCOVERY e resosi poi indipendente nel Regno Unito, hanno deciso di continuare con la sperimentazione di idrossiclorochina non considerando lo studio pubblicato su Lancet evidenza sufficiente per comprovare la pericolosità del farmaco”, conclude Savarino.

Che dire? Forse è inutile aggiungere altro a quello che qualsiasi persona abituata a farsi guidare dalla logica ha già compreso: per cui avrà capito come interpretare le affermazioni buttate lì da Antinori in prima serata da Rai 2; come interpretare l’ALT dell’OMS prendendo a pretesto un articolo insufficiente a motivarlo; come interpretare la brusca frenata dell’Agenzia del farmaco italiana, sollecita ad obbedire all’OMS nonostante la scarsa affidabilità ormai dimostrata dall’Organizzazione e la sua dipendenza dalle case farmaceutiche; come interpretare l’atteggiamento della “casta farmacologica” dell’AIFA che non riesce MAI a valutare la realtà direttamente, per quello che è, senza la vidimazione burocratica di un pezzo di carta o di qualche pezza di appoggio che in questo caso è l’articolo di Lancet.

Eppure, se ci riuscisse, scoprirebbe che la realtà vera, quella non burocratica, se ne frega dell’articolo di Lancet e dimostra tutt’altro. Perché la realtà vera è quella dell’evidenza clinica sperimentata dai medici sui propri pazienti, salvati non dagli studi randomizzati, ma dalla capacità professionale, dall’accortezza e l’oculatezza con cui, valutando caso per caso, in tutt’Italia hanno somministrato questo e altri farmaci.

Dal dottor Cavanna a Piacenza a Le Foche a Roma, da Belcastro in Calabria ai camici bianchi del “gruppo Covid 19” nato su Facebook, al dottor Mangiagalli dei “100 medici lombardi in prima linea” che dichiarò: “Ci siamo lanciati senza paracadute. Non avremmo potuto prescrivere l’idrossiclorochina ai nostri pazienti… l’Aifa aveva emanato una direttiva sconsigliandone l’utilizzo…Però far morire la gente senza tentare nulla era contro il nostro codice deontologico…e comunque ci siamo presi questa responsabilità sulla base di una conoscenza clinica approfondita dei nostri pazienti. È chiaro che a pazienti con disturbi del ritmo cardiaco non ci siamo sognati di prescrivere questa terapia. Inoltre, la maggior parte degli studi che mettono in dubbio l’efficacia della idrossiclorochina sono stati realizzati in ospedale o su pazienti in fase più avanzata dei nostri… perché in pratica, se non si interviene per tempo i polmoni, che normalmente sono come un spugna, diventano di cartone. E se si interviene tardi, magari si salva il paziente ma a prezzo di un danno polmonare irreversibile… Ci siamo resi conto che il Covid è una malattia sistemica ad alta letalità e pericolosissima se non trattata nei primissimi giorni. E non avendo fuori dall’ospedale altri farmaci con possibile attività antivirale, abbiamo pensato che nell’emergenza l’idrossiclorochina fosse la miglior strada percorribile: a un costo fra l’altro molto sostenibile”.

Queste dichiarazioni fanno intuire non solo il danno alla salute provocato dallo scellerato blocco di questa sperimentazione ma anche l’errore più grave, forse, compiuto nel corso di questa pandemia: far credere che il valore taumaturgico, miracoloso dipenda dal farmaco, mentre come queste esperienze dimostrano, il vero taumaturgo, quello che fa il miracolo è il medico che lo utilizza, tenendo conto della specificità del suo malato: ognuno diverso dall’altro.

Ed è questo che accomuna il successo ottenuto con l’uso anche di altre terapie da quei medici quasi tutti più o meno snobbati dall’AIFA e dai vertici sanitari: da Ascierto a Vacca, all’equipe del plasma De Donno-Franchini-Perotti a Mantova e Pavia. Anche per il plasma, infatti, è fuorviante ritenere che è la sacca di sangue che salva la vita e che scegliere Pisa come capofila della sperimentazione equivale a Mantova e Pavia. “La selezione dei pazienti prevede un lavoro certosino… Non solo abbiamo gli esami obbligatori di legge sul plasma per essere trasfuso, ma esami aggiuntivi e il titolo neutralizzante degli anticorpi che è una cosa che facciamo solo noi qui… per cui sappiamo la potenza, la capacità che ciascun plasma accumulato ha di uccidere il virus. Ogni plasma è fatto in modo diverso perché ogni paziente è diverso, ma noi siamo in grado di sapere quale usare per ogni caso specifico”. Queste parole di Franchini e Perotti che hanno lavorato a Mantova e Pavia, fanno capire la differenza con Pisa e sembrano sottolineare che non è corretto far credere che una sacca di sangue vale l’altra. Perché non è il farmaco, il plasma o il vaccino, che salva il malato, ma il medico competente che individua per lui il rimedio più giusto. O per dirla con Zangrillo: non sono 100 ventilatori polmonari in più che salvano più moribondi, ma il personale sanitario capace di farli funzionare.

E proprio su queste esperienze e professionalità forse varrebbe la pena investire in futuro: perché, alla luce dei fatti, sembrano il patrimonio più consistente ereditato da questa pandemia. Magari cominciando a dirottarvi una prima cifra significativa: i 130 milioni di euro promessi a Bill Gates per la ricerca di un vaccino. Anche perché sarebbe un modo per disinnescare una pericolosa e generalizzata diffidenza verso farmaci e vaccini: il cui uso oculato e consapevole guidato dalla Medicina – anzichè quello indiscriminato e di massa spinto dalle case farmaceutiche – è sacrosanto quanto innegabile. Sarebbe un modo, insomma, per sciogliere la diffidenza e invertire quella tendenza avviata proprio dalla pseudoscienza inquinata da interessi di parte: che è la perdita di fiducia nella Scienza e nella Medicina che molti cittadini hanno vissuto sulla propria pelle in questa pandemìa. Soprattutto quelli chiusi in casa con qualcuno che gli moriva accanto, sballottati fra pareri contrastanti, abbandonati da un sistema sanitario in tilt che, presi dal panico, anche se sono sopravvissuti a quest’esperienza devastante, forse hanno perso fiducia nella possibilità di rinascita offerta da queste discipline.

Una perdita di fiducia che una società come la nostra, però, oggi non può permettersi. Perché la Scienza e la Medicina sono le uniche armi contro il rischio di una nuova dittatura che – a differenza di quelle che si toccano con mano – può essere esercitata attraverso la presenza invisibile di un virus. E per contrastarla, l’unico modo che sembra avere il cittadino, il politico, le istituzioni è alzare le antenne, dubitare, confrontare, distinguere fino a riconoscere e sostenere ciò che è clinicamente, scientificamente attendibile per annientare il virus. Certo è una ricerca che comporta un po’ di fatica: ma in fondo è una fatica che arricchisce, perché è uno sforzo culturale. E del resto non c’è alternativa: perché non hanno ancora inventato le pillole di scienza infusa. Anche se qualcuno tenta di dimostrare il contrario. E soprattutto questo atteggiamento è inevitabile se non si vogliono ripetere gli stessi errori. Come suggerisce il titolo di questo book, che non intende incolpare nessuno, né fare processi: ma solo aiutare a capire dove si è sbagliato per evitare di sbagliare di nuovo.

Aiutare a capire che magari, è soprattutto questione di metodo, per dirla con le parole di Alfonso Maria Liquori, una delle più belle menti della chimica e della fisica italiana, prematuramente scomparso: “Questo è il bello della scienza: che le sue evidenze sono sempre scientificamente dimostrabili. La verità scientifica, infatti, a differenza della verità politica, non si basa sulla maggioranza: se una maggioranza sostiene che le foglie degli alberi sono blu e una minoranza che sono verdi, la verità scientifica sta con la minoranza. E grazie al metodo scientifico è sempre dimostrabile”.

 

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