Miracoloso Corano

Verità o finzione? I primi passi di Silvia sul suolo italiano sembrano filmati da una firma del neorealismo anni sessanta. Silvia, tra due omoni vestiti di nero (il volto immerso in passamontagna dello stesso colore) è l’immagine choc di una giovane musulmana, il capo coperto, la lunga veste delle donne arabe, lo jilbab verde acqua, indossato dalle donne musulmane come testimonianza del precetto del Corano sulla modestia femminile. Le mancava solo di inalberare un cartello con la scritta “Ciao, il mio nome è Asha, il mio credo è l’Islam”, magari accompagnato da un sonoro “Allah è grande” e la scena della conversione ‘spontanea’ non avrebbe lasciato dubbi sulla sua autenticità.
Lavoriamo di fantasia e proviamo a immaginare in quale contesto possa essere avvenuta la conversione. Il rapimento, lo racconta chiunque ne è stato vittima, è un atto di violenza fortemente traumatico.  Nel caso di Silvia anche di più per il calvario di marce forzate, della lunga prigionia nelle grotte, dello smarrimento per un futuro che poteva concludersi tragicamente. Piange Silvia (lo racconta lei), segno di scoraggiamento, di sgomento, di sofferenza fisica e psichica. E così, ci avrebbe pensato Allah a evitare la caduta in una profonda depressione.
I premurosi carcerieri, certo ispirati dal loro Dio, hanno dotato la giovane volontaria di una copia del Corano. Non è dato sapere se il sacro testo fosse in italiano, forse inviato da Amazon, che ha tutto in catalogo. Fatto sta, che con sommo gaudio dei terroristi la prigioniera comunica di essersi rapidamente convertita all’Islam. Sicché riceve l’abbigliamento appropriato e in premio l’annuncio della scarcerazione, non prima che i carcerieri abbiano incassato i milioni del riscatto. I suoi ‘custodi’ sono così lieti della svolta religiosa di Asha, che le preparano perfino un bel piatto di spaghetti al dente, rigorosamente italiani.  E si capisce, sanno che la giovane, una volta liberata, tesserà le lodi dei rapitori (“mi hanno trattata bene, nessuna violenza”) e che diffonderà a mezzo Tv lo spot promozionale del terrorismo ‘buono’, ma così buono da indurre la vittima del rapimento a diventare islamica.
Ecco, questo è un perfetto esempio di lettura malevola della scarcerazione di Silvia. Se fosse davvero stata folgorata sulla via di Maometto gli islamici dovrebbero trarne l’entusiasmante convinzione di una virtù miracolosa del Corano e dovrebbero promuoverne la più ampia diffusione, certi di fare proseliti semplicemente con la lettura del loro testo sacro.
Se il raptus islamista di Silvia non fosse per niente spontaneo e invece una clausola del contratto per la liberazione, avrebbe ragion d’essere la scelta del suo nuovo nome “coranico”: Aisha si chiama infatti la figlia di Abu Bakr, primo califfo dell’Islam, ritenuta ‘madre dei credenti e sposa di Maometto. La scelta, seguendo il filo del racconto imposto a Silvia, avrebbe lo scopo di apparire in linea con la folgorazione avvenuta assimilando il credo del Corano, suggerito dai rapinatori, elementi di al Shabaab, gruppo parallelo di al Qaeda molto attivo in Somalia Sarebbe strategica al fine di far dimenticare la brutalità del terrorismo, di acquisire consensi nel mondo occidentale.
E invece: Silvia dice il vero.  A questo punto si dovrebbe dar credito a doti miracolose di Maometto, alla capacità di far proseliti semplicemente leggendo la sua ‘bibbia’, come sarebbe accaduto durante la dura prigionia a cui Silvia è stata costretta da suoi correligionari, nonché terroristi!
Posto che il riscatto è finito nelle mani di terroristi e che pagare per salvare una vita è un atto di umanità imprescindibile, non ha torto chi paventa il pericolo di altri rapimenti di italiani per finanziare la malavita o il terrorismo ed è cosa ovvia i rapitori abbiano trattato bene la prigioniera, soprattutto che non l’abbiamo uccisa. Un comportamento opposto avrebbe indotto, in questo caso l’Italia, a non pagare il riscatto.

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