Viva la Rai

Non abbiamo mai approfondito se il ‘Viva la Rai’ di Renato Zero, leader amatissimo dei ‘sorcini’, fosse un tributo alla televisione pubblica o un tiro mancino, condito di sottile ironia. L’ottimismo dell’irragionevolezza induce a ritenere la canzoncina un omaggio affettuoso al ruolo sociale della Rai, clamoroso, ad esempio, per merito del maestro Manzi, che negli anni Sessanta prese per mano milioni di italiani analfabeti e insegnò loro a leggere e scrivere, a far di conto. Il presidente Mattarella dovrebbe istituire un’onorificenza specialissima che premi la Rai delle emergenze, che siano eventi naturali o la pandemia come in questo esordio del 2020.  Partendo dal coacervo di meriti acquisiti nel tempo dai vertici di viale Mazzini all’ultimo cronista assunto dall’informazione regionale, è d’obbligo stralciare lo straordinario potenziale operativo, che in tempi brevissimi ha costruito l’impianto del complesso sistema educativo per milioni di alunni e studenti, in alternativa alla scuola pubblica in quarantena. Manzi è entrato in ogni casa con il primo esempio di insegnamento on line, permesso dalla tecnologia informatica e con un cast di docenti di altissimo profilo. Ieri sera, al the end del tg1 ore 20, hanno risposto all’appello della televisione pubblica 50 (proprio così, cinquanta) protagonisti della canzone. Hanno dato vita a un collage di voci prestate con rara efficacia all’ottimismo di ‘Ma il cielo è sempre più blu’ di Rimo Gaetano”, performance donata agli eroi che combattono il coronavirus a tutti i livelli. Non è l’unica iniziativa di solidarietà della Rai antivirus.
Squarci di luce, tinti di arcobaleno, provano a rimuovere dal subconscio di molti italiani gli addensamenti nebulosi che prendono sempre più la forma impalpabile, subdola, di ansia, paura, angoscia, depressione. L’animo si rasserena, vi va liberando del pessimismo accumulato ogni volta che la scienza annuncia i benefici di strumenti diagnostici, di terapie antivirus efficaci: è successo per il farmaco antagonista dell’artrite reumatoide, per il plasma di contagiati guariti. A maggior ragione si esulta se Massimo Clementi, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell’ospedale milanese San Raffaele, rende pubblica la sorprendente sentenza “Sono certo, il Covid-19 può diventare come un raffreddore, ha perso la sua forza”. L’autorevolezza di una simile opinione, consente l’autocitazione “L’avevamo capito una settimana fa, da quando le curve di contagiati, guariti e deceduti aveva esibito numeri positivi.”
Il virus ha forse imboccato la strada del ruzzolone in basso e finirà per sparire nel nulla? Guai a pensarlo e soprattutto a dirlo.  Da Nord a Sud il protocollo, che impone restrizioni e prudenza estrema, mostra vistose, pericolose trasgressioni. A Milano, nonostante il primato di infetti e deceduti, al primo cenno di fase 2, la brulicante promenade dei navigli è torna al rito dell’aperitivo di massa. A Napoli l’irresistibile fascino di sole e mare anima le vie Caracciolo e Partenope, quasi come al tempo del pre-pandemia.
Nei giorni scorsi, per chi ci crede, il patrono di Napoli, nel Duomo senza un’anima, ha sciolto il suo sangue nell’ampolla dov’è custodito da secoli. Per i fedeli se San Gennaro replica il ‘miracolo’ lo fa per risparmiare guai alla città e in questa primavera del Covid-19, per dire al malefico virus un esplicito “Va de retro satana”.
Problema, il sangue si è sciolto prima che il professor Clementi rendesse noto l’oracolo del virus destinato a indebolirsi fino a essere ridimensionato come un qualunque raffreddore e San Gennaro non ha mai bissato il miracolo a distanza di pochi giorni. Ne consegue che, se il professor Clementi avesse ragione, dovrebbe essere beatificato, in attesa di assurgere a dignità di santo.

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