Arlacchi: Vi spiego l’anomalia italiana sul Coronavirus

Pino Arlacchi

Lucido, rigoroso, assolutamente fuori dal coro, il sociologo Pino Arlacchi in questo articolo, tratto dalla sua pagina Facebook, mette finalmente ordine nei numeri impazziti del Coronavirus. E scopriamo che la mortalità in Italia è minima, pari a quella della Germania, dove giustamente non vengono considerati nelle statistiche i decessi dovuti ad altre patologie, aggravati – ma non direttamente causati – da Covid 19. Ex vicesegretario generale delle Nazioni Unite, Pino Arlacchi è direttore generale e capo della delegazione italiana dell’International Forum on Crime and Criminal Law in the Global Era, un’associazione di criminologi, sociologi e giuristi provenienti da 20 paesi con base all’Università di Pechino.

 

COME RISOLVERE L’ANOMALIA ITALIANA SUI DATI CORONAVIRUS

In Germania, chi muore di cancro, polmonite, arresto cardiaco E Coronavirus viene considerato morto per cancro, polmonite, ecc. Il virus non viene computato come causa di morte, a meno che esso non sia stato la causa esclusiva del decesso.
In Italia, al contrario, viene considerato morto per Coronavirus chiunque abbia contratto il virus in aggiunta a patologie preesistenti.
La differenza che ne deriva è immensa: 52 decessi in Germania ieri 19 marzo, contro i 3.405 da noi. Lo 0,3 contro l’8,2%. L’istituto Superiore di Sanità è ben consapevole della rilevanza di questa distinzione, ed ha pubblicato un’analisi sulle cartelle cliniche che separa i numeri dei decessi CON da quelli DA Coronavirus. Le percentuali italiane che ne risultano non sono lontane da quelle tedesche. I morti per il virus sono lo 0,8% del totale, come da post pubblicato ieri.
Ma il mio amico prof. Franco Priolo mi ha fatto notare che l’attacco del virus a un paziente anziano già debilitato da una o più patologie può essere l’elemento scatenante della crisi finale, e che non esiste alcun modo, post mortem, di isolare lo specifico input del virus. L’osservazione è corretta, e non credo perciò ci sia una soluzione clinica soddisfacente al problema della letalità effettiva del Coronavirus.
Sono convinto, tuttavia, che esista una soluzione di tipo statistico, e sono tra il meravigliato e l’indignato nel notare come essa non sia stata percorsa finora dall’Istituto Centrale di Statistica.
Basterebbe confrontare il numero di decessi per cause non traumatiche avvenuti in Italia e nelle zone a più alto rischio nei primi due mesi e mezzo degli anni passati – occorrono almeno due anni per scontare le variazioni casuali – con quelli registrati nell’anno in corso per scoprire l’incidenza precisa, il fattore differenziale in più dovuto all’epidemia in corso.
Muoiono ogni giorno in Italia circa 1.700 persone. Se a questa cifra sottraiamo i morti per cause, diciamo così, non naturali, traumatiche (dagli incidenti stradali e di altro genere, agli omicidi, suicidi, alle overdosi, ecc.) e concentriamo la nostra attenzione ai decessi per cause collegate ai fattori più comunemente associati a quelli da virus (ipertensione, scompensi cardiaci, malattie respiratorie, ecc.), la comparazione con gli anni scorsi ci dà la dimensione quantitativa del fattore C.
Dal momento che l’ISTAT ha informatizzato da tempo la raccolta e l’elaborazione delle schede sulle cause di morte, ma pubblica solo dati annuali, l’individuazione del fattore C è solo questione di una disaggregazione di questi dati per mesi e settimane. Lavoro che può essere compiuto senza alcuna difficoltà tecnica.
E messo a disposizione di tutti.
Perché non si è fatto?

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