Patrick, dopo Giulio. Egitto disumano

Sa di stallo avvelenato, responsabile l’Egitto, il calvario dei genitori di Giulio Regeni privo di uno straccio di motivazione il logorante confronto con l’Egitto per conoscere e punire gli assassini del giovane ricercatore italiano, torturato e ucciso da sgherri su mandato di elementi, che sono emanazione del governo del Cairo. La vicenda è allucinante, testimone di un atteggiamento istituzionale totalmente estraneo alla legalità, al rispetto dei diritti umani, alla correttezza dei rapporti internazionali. L’Italia ha provato a scalfire la chiusura ermetica dell’Egitto a difesa di un comportamento che ricorda molto da vicino le nefandezze di tirannie del Sudamerica, che hanno soffocato con il sangue il dissenso. La domanda è: ci ha provato con la necessaria fermezza e il diritto di conoscere e punire i carnefici di Regeni? Evidentemente, no. Niente ha ottenuto il ‘patriottico’ Salvini del governo gialloverde, niente i demostellati. Quanto influiscono sul menefreghismo del  Cairo gli interessi  dell’import-export  Italia-Egitto, la pressione per non scindere mega contratti bilaterali, o finanziariamente importanti per l’industria italiana? È poca cosa la mobilitazione che chiede ‘Verità e giustizia” per Regeni,  la meravigliosa tenacia dei suoi genitori nel perseguire questo obiettivo, l’indignazione collettiva per il cinismo del governo egiziano, unito alla disumanità pagata con la vita dal giovane ricercatore? In un mondo di soprusi, di violenze d’ogni  genere impunite, di ingiustizia, purtroppo il ‘caso’ Regeni è solo uno di troppe infamie in danno di innocenti. E ci siamo daccapo. Patrick George Zaky, ha scelto l’Italia per un master nell’ateneo di Bologna, per un perfezionamento portato a vanti con profittoe con la stima di docenti e studenti. Tornato nel suo Paese per incontrare i parenti, è stato arrestato, picchiato, torturato. È diventato la seconda  vittima (ma chissà quante altre non in evidenza) di un  regime dittatoriale fuorilegge, che calpesta la carta dei diritti umani. In manette da   otto giorni, Patrick, in tribunale,  nel corso della discussione sul ricorso  per la scarcerazione, ha denunciato le violenze subite. Ci si augurava che  il tribunale decidesse per la liberazione dello studente, chiesta anche dall’ ong ‘Egyptian initiatives for personal rights’, lo auspicavano familiari e amici, ma il giudice ha detto ‘no’ e si può immaginare su input di chi. Zaky resta in carcere. E perché? Ci rimane in base a prove false,  pubblicate in un profilo Facebook non suo. Che c’è dietro questo nuovo sopruso: nelle carceri egiziane sono rinchiuse 50mila persone per reati simili a quelli, falsi, contestati allo studente che da Bologna e dall’Italia riceve solidarietà. Che basta? La terribile storia di Giulio Regeni dice di no, che non basta. Quel che serve è la pressione contemporanea sul governo egiziano della comunità internazionale, più coercitiva se aggravata da sanzioni che colpiscano l’Egitto politicamente ed ecomicamente. In questo auspicabile intervento congiunto, l’Italia deve essere presente con un ruolo preminente, a difesa di Zaky e per dare finalmente ragione alla domanda di giustizia dei genitori di Giulio Regeni, di chi li affianca da anni.

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