MORI & MAFIA / DEFICIENTE E NEGLIGENTE MA NON COLLUSO, PER LA PROCURA DI PALERMO

Comportamenti gravi sotto tutti i profili – morale, deontologico, professionale – ma non penalmente rilevanti. E’ la sostanza della seconda, incredibile assoluzione per l’ex colonnello del Ros ed ex capo dei Servizi segreti Mario Mori, relativa alla cattura del super boss Bernardo Provenzano, che verrà arrestato solo 11 anni dopo quel mancato blitz dell’ottobre 1995.

Stesso copione, qualche anno fa, con la mancata perquisizione del covo di Totò Riina: quindici giorni di non-controllo che servirono ai picciotti del boss per ripulire con cura quel covo, portandone via tutti i documenti e la carte bollenti e – beffa delle beffe – lasciandolo perfino ritinteggiato. Ma anche allora nessun fatto “penalmente rilevante” a carico di Mori e del capitano Ultimo che lo spalleggiava. Solo vicende – la solita litania – deplorevoli sotto il profilo etico e professionale.

Partiamo dalle fresche motivazioni per la mancata cattura di Provenzano nel suo rifugio di Mezzojuso. Tutto “un programma” le ragioni che scagionano sia Mori che un altro braccio destro del capo ai tempi del Ros, Mauro Obinu.

Così scrivono le toghe del collegio presieduto da Salvatore Vitale, che guarda caso è oggi presidente del tribunale di Palermo: non è provata “la volontà degli imputati di impedire la cattura del boss”, perchè “la scelta attendista non era irragionevole”. Perciò “il fatto non costituisce reato”.

Chissà perchè poi le solerti toghe facciano notare le “zone d’ombra” presenti in tutta l’oscura vicenda, la “poca solerzia”, la “negligenza” e “l’imperizia” di Mori e del fido Obinnu, nonché il loro “approccio burocratico”.

Sorge spontanea la domanda: cosa vuol dire “approccio burocratico” nel burocratese della giustizia di casa nostra?

Ancor più grave fu la vicenda del covo. Perchè quei documenti tranquillamente trafugati durante il “voluto” non controllo dell’abitazione di Riina, non controllo deciso da Mori e dell’eroico capitano Ultimo, al secolo Sergio De Caprio, hanno costituito – e con ogni probabilità rappresentano ancora – un incredibile strumento di ricatto nei confronti di centinaia e centinaia di big e vip che hanno fiancheggiato la crescita di Cosa Nostra negli anni.

Nella cassaforte prelevata dal covo, infatti, era custodito l’archivio dei 3000 nomi, archivio che “faceva esplodere tutta l’Italia”, come dichiarerà poi la collaboratrice di giustizia Giusy Vitale. La notizia – incredibile ma vero – viene confermata dallo stesso Ultimo nel corso di un processo per diffamazione intentata da Di Caprio contro  due giornalisti, Attilio Bolzoni e Saverio Lodato, che avevano cercato di far luce su quella mancata perquisizione. Nel corso del processo che si tenne a Milano, Di Caprio sbottò: “ma quale elenco dei 3000 nomi, io non ne ho mai parlato”. La tipica excusatio non petita, visto che neanche i giornalisti ne avevano scritto.

I misteri non finiscono mai. E c’è addirittura un terzo caso di mancata cattura, nel fitto curriculum del super colonnello Mori: quella del boss Nitto Santapaola, un folle inseguimento a colpi di pistola nella zona Terme Vigliatore. Tanto per far rumore.

Nel pedigree griffato Mori fa capolino l’incarico affidatogli da Gianni Alemanno, quando era sindaco di Roma, per sovrintendere alla sicurezza della città: al solito, con la imprescindibile collaborazione di Ultimo.

E fu lo stesso camerata Alemanno ad affidare all’amico-generale in pensione la direzione del comitato scientifico d’una rivista di teoria politica & security: Theorema, spuntata come un fungo  all’ombra del Cupolone nel 2010 e vissuta qualche mese. Tra i collaboratori più assidui l’ex ordinovista Loris Facchinetti e l’ex brigatista-telefonista (del caso Moro) Mario Morucci. Cin cin.

 Nella foto Mario Mori

 

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