DIANA BRACCO / 1 ANNO E 3 MESI CHIESTI DAL PM DI MILANO PER EVASIONE FISCALE

1 anno e 3 mesi di condanna per la signora dei Farmaci, Diana Bracco. A chiederli il pm della procura di Milano, Giordano Baggio, al termine del processo di primo grado per appropriazione indebita e frode fiscale. La sentenza è prevista per il 4 ottobre.

Una storia di evasione fiscale. Di intrecci fra società che fanno capo alla milionaria dinasty delle pastiglie e sigle personali, in una totale confusione – creata ad arte – tra i conti. Tanto per abbattere meglio l’imponibile ed evadere le tasse dovute al fisco. Spese e costi, sostenuti per poter fronteggiare l’alto tenore di vita della lady meneghina, star all’Expo di Milano come commissario di Padiglione Italia, finiscono magicamente nei conti societari. Nel minestrone contabile vengono fiondate ville capresi e sulla Costa azzurra, oppure tra le nevi dei vip. E lei, la Paperonessa d’Italia, a tuffarsi tra i suoi dobloni. Spesso e volentieri in nero…

Così scrive il pm: “I costi privati, per le case e per la barca, spesati sulle società con causali false nelle fatture: ma non si può fare quello che si vuole delle società di capitali di cui si è soci, è un concetto che molti imprenditori italiani non amano”. Una randellata da non poco sul capo della numero 2 di Confindustria. Boccia è avvisato.

Per l’accusa la strategia è chiara e il capo (la capessa) “non poteva non sapere”. “Chiaro il contenuto delle mail tra il 2008 e il 2011”, chiare le indicazioni ai funzionari del gruppo, evidente l’interesse economico finanziario della numero uno (e non certo dello staff che eseguiva gli ordini di scuderia).

Ma lei, lady Bracco, è pentita. Ha subito saldato, scodinzolante, il suo debito con il fisco e – a quanto pare – “ha rimesso a posto i conti in società, versando le cifre prima sottratte”. Non contenta, ha inviato una lettera-supplica al presidente del collegio che dovrà pronunciare la sentenza, Anna Giorgia Carbone, spiegando che lei è immacolata come una viola mammola e che tutta la colpa è di quel marito distratto (ora morto) che con i conti aziendali ne combinava di tutti i colori; nonché di un ragioniere che non aveva dimestichezza con la matematica. Attraverso il suo legale, poi, fornisce la sua versione: “le fatture si riferivano a prestazioni realmente eseguite – scrive l’avvocato Giuseppe Bana – e ciò, confermato dall’autorevole parere di Livia Salvini, ordinaria di Diritto tributario alla Luiss, fa decadere ogni rilevanza penale”.

Servirà, l’alto parere accademico, ad evitarle una clamorosa scivolata sulla buccia di BANAna?

Nella foto Diana Bracco

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