Vince brexit nell’incosciente Britannia

Volteggiano nei cieli d’Europa poiane, avvoltoi e altre specie piumate di rapaci che vanno giù, in picchiata, per serrare gli artigli sugli sconfitti dal famigerato Brexit e potenziali emuli, per spaccare a metà il Regno (non più) Unito. Fa premio la xenofobia, l’opposto della solidarietà e, nel solco di un passato da colonialismo predatore, la grandeur egoistica di un popolo rimasto nazionalista come al tempo del big Commowelth. Fa la voce grossa e minacciano referendum paralleli la destre di Francia, Olanda, Danimarca, Italia e chissà chi altro, (fr-exit, ol-exit, da-exit e perfino, it-exit). I ringalluzziti Le Pen, Salvini e omologhi di una parte che non si può ancora sapere quanto ampia del Vecchio Continente, puntano a frantumare l’Unione, a una neo-autarchia che economisti e politologi condannano denunciando l’impossibilità di competere con storici colossi mondiali come gli Stati Uniti e gli emergenti, come la Cina, l’India.

L’esito del referendum che farà uscire il Regno Unito dall’Ue avrà risvolti sulla vita quotidiana dei sudditi della regina, che siano residenti in patria o che vivano in un Paese europeo: dal visto alle limitazioni negli spostamenti, ecco i principali cambiamenti a cui dovranno abituarsi. Cameron, premier britannico recordman dell’ambiguità, si è dimesso. Si deve a lui la catastrofe del brexit: per non perdere consensi con la quota più moderata e intollerante dell’elettorato conservatore, accettò di indire il referendum per assumere tardivamente la posizione dell’ “in”, del “remain”. La prima reazione alla vittoria dell’ “exit” è il crollo delle borse e il precipizio in cui cade il valore della sterlina. Ma poi: è prevedibile che per i cittadini britannici non basti più la carta d’identità per circolare in Europa e che sia necessario un visto. Saranno più care le vacanze in conseguenza della caduta della sterlina nei confronti dell’euro e per la messa in discussione degli accordi che permettono a qualunque compagnia europea di operare senza limiti di frequenza e prezzi negli spazi aerei comunitari (si devono al mercato unico i voli a basso costo della britannica Ryanair). Le grandi finanziarie americane pensano di delocalizzare e questo potrebbe costare decine di migliaia di posti di lavoro per gli inglesi. Problemi anche per i britannici residenti all’estero nella UE (mezzo milione solo in Irlanda, Francia, Spagna e Germania).

Nei guai i pensionati, per il deprezzamento della sterlina, a rischio la copertura sanitaria, pagata dalla Gran Bretagna a molti Paesi europei, in pericolo il destino di migliaia di funzionari che lavorano nelle istituzioni comunitarie e la Spagna potrebbe essere tentata di chiudere il confine con Gibilterra dove vivono più di trentamila inglesi (non a caso il loro voto è stato a favore del “remain” in misura schiacciante). Infine nell’Inghilterra del Nord il sì alla brexit potrebbe creare disagi al confine tra Irlanda e Irlanda del Nord, al flusso di altre migliaia di britannici. L’Europa ha il fiato sospeso, l’Inghilterra è spaccata a metà, gli avvolti girano minacciosi sull’Europa e sostanzialmente l’obiettivo dell’indipendenza nasconde odio razziale, contro l’immigrazione. Chissà se gli xenofobi hanno la lucidità per chiedersi chi tra gli inglesi sarebbe disposto a riprendere in carico farebbe tutti i lavori umili. Indispensabili, affidati ai migranti.

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