Strage: il day after

C’è in atto un lodevole tentativo europeo di esorcizzare lo stato diffuso di panico per il potenziale stragista dei terroristi che provano a mettere in ginocchio l’Occidente nel nome di Allah. Nel linguaggio di esperti, politici e tuttologi che animano i mille programmi radiofonici e televisivi c’è rassicurazione, fiducia nel complesso sistema di prevenzione degli attentati e la frase generata dall’intenzione di scardinare dalla mente e dall’anima di uomini e donne il senso di impotenza, la percezione dell’impossibilità di difesa, la paura dell’esposizione al rischio di essere coinvolti in nuove tragedie: “Il terrorismo non vincerà”. In Italia, per darle credibilità si ricorre alla sconfitta del terrorismo brigatista, della mafia sanguinaria, di conati della destra intenzionati ad attaccare la democrazia con colpi di stato. Tutto vero, ma lo jihadismo è fenomeno paragonabile? Sono due gli elementi che smentiscono i profeti di una sua sconfitta: l’esercito di fanatici pronti a immolare la loro vita di suicidi per colpire al cuore gli “infedeli” e l’oceanica vastità di obiettivi cosiddetti sensibili. Quali? Aeroporti e stazioni ferroviarie, porti, metropolitane, ma anche e l’elenco è tragicamente lungo, migliaia di monumenti affollati di visitatori, chiese, musei, scuole, stadi e palazzetti sportivi, teatri, cinema, ristoranti, discoteche, bar, grandi magazzini, stabilimenti balneari, sale per convegni, alberghi, atenei, luoghi del turismo estivo e invernale: milioni di possibili bersagli.

Chi s’illude di aver contrastato il pericolo intensificando i dispositivi di sicurezza negli scali aerei principali, teoricamente più esposti e nelle stazioni ferroviarie, commette un grave errore di ingenuità. Per due ragioni. La prima è che i terroristi non sono sprovveduti dilettanti del crimine e la distanza temporale dei loro attacchi dimostra che l’intervallo tra l’uno e l’altro (Parigi-Bruxelles per fare un esempio) è ampio quanto basta ad aspettare che l’allerta scenda di livello nell’illusione di un ritorno alla normalità. Secondo motivo di perplessità è la direttiva di mettere sotto ferrea sorveglianza luoghi analoghi a quelli dove avvengono gli attentati. C’è infatti da scommettere sulla diversificazione degli obiettivi da colpire, scelti per la loro imprevedibilità. La logica vorrebbe che si escludessero da future azioni terroristiche giornali schierati contro l’Isis (Charlie Ebdo, obiettivo specifico), discoteche e supermercati, ristoranti (Parigi) e sistemi di viabilità (Bruxelles). Augurando una decisa smentita, dove colpirà il Califfato? Gli xenofobi alla Salvini puntano il dito sul flusso di migranti che fuggono da guerre e fame, tra i quali si infiltrerebbero potenziali terroristi ma è un accanimento razzista non sense perché gli episodi di Parigi e Bruxelles dimostrano la presenza di jiahdismo locale nelle periferie delle capitali europee, clamorosamente testimoniate dalla protezione di un intero quartiere di quella capitale belga che ha garantito la latitanza di Salah per quattro mesi e dalla ostilità nei confronti delle forze di polizia impegnate a rastrellare la zona dove si annidano i seguaci dell’Isis. L’imponente dispositivo di sicurezza disposto nell’area di piazza San Pietro risponde all’emergenza indotta da minacce alla cristianità.

La domanda: è un sistema di sicurezza permanente? Risponderà il trascorrere del tempo, quando l’Isis avrà operato per distogliere parte dell’attenzione del nostro apparato antiterrorismo dall’obiettivo Vaticano. Pessimismo ad oltranza? Può darsi, ma motivato dalle gelosie nazionaliste dei servizi segreti, dalla mancata sinergia operativa di un’Europa tutt’altro che unita, da incertezze e ritrosie nell’elaborazione di un progetto condiviso per affrontare questo e molti altri temi comunitari urgenti.

Nella foto, Bruxelles blindata

 


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