ELEZIONI A NAPOLI / DAL VOTANTONIO DI BASSOLINO ALLO ZAPATISMO DI DE MAGISTRIS

Era lo slogan anni ’80 per portare al voto il popolo in vista delle urne, “Vota Antonio”, remake del celebre tambureggiante passaparola per la voce del mitico Totò. Portò per anni fortuna alle truppe dorotee, capitanate dall’allora super ministro Dc prima delle Poste e poi dell’Interno, Antonio Gava.

Quello stesso slogan, ora, diventa il vessillo di un altro Antonio, stavolta Bassolino, che di quel Gava – un quarto di secolo fa – era il più fiero nemico a Napoli, riuscendo ad organizzare con quel Pci d’antan addirittura un referendum per disarcionarlo. Altri tempi, altre battaglie, come quella contro i maxi sperperi del dopo terremoto e gli ingentissimi fiumi miliardari orchestrati da ‘O ministro Paolo Cirino Pomicino & C.

Poi vennero i tre regni: prima palazzo San Giacomo come sindaco della rivoluzione illuminata, sotto la possente spinta di Mani pulite, del G8 made in Napoli (passato alla storia per l’avviso di garanzia recapitato al premier Silvio Berlusconi al Maschio Angioino di Napoli) e di un Rinascimento ormai dietro all’angolo. Quindi le due tappe da Governatore della Campania, impegnato soprattutto sul fronte della monnezza come commissario straordinario.

Adesso torna al primo amore, Bassolino, destinato a vincere le primarie Pd del prossimo 8 marzo per proiettarlo al rush finale per la riconquista del “suo” palazzo San Giacomo. Tradizione e innovazione, le ricette per vincere mediaticamente la tenzone. Niente più mega convention, né party mangerecci, né adunate oceaniche (sic): solo “casa per casa”, come facevano i militanti d’un tempo, i volontari che diffondevano l’Unità la domenica; e a tutta rete, per raggiungere ogni fascia di possibile voto. Ha attivato il nuovo sito personale, dove campeggia un volto pensieroso ma fiero, e la scritta “Di nuovo ci sono io”, e una piccola postilla “sono la vera novità”. E chissenefrega della monnezza, delle condanne milionarie inflitte dalla Corte dei Conti: tanto lui, don Antonio, non ha il becco d’un quattrino, povero in canna, sandali francescani al piede per battere tutti le periferie partenopee, a portare il novello Verbo.

Emiliano Zapata

Emiliano Zapata

Ma un altro Verbo ruggisce a sinistra. Anzi, alla sinistra della sinistra che non c’è più ma, come araba fenice, risorge al centro congressi Eur di Roma, in occasione della convention “Cosmopolitica” per fondare il sessantottesimo (o giù di lì) partito della Sinistra, condottiero Luigi de Magistris, l’arancione sindaco con bandana trionfatore cinque anni fa e ora in corsa per il prossimo mandato a Napoli. Incoronato fra osanna e standing ovation nuovo Zapata del terzo millennio, liberatore di tutti gli oppressi globalizzati, e capace di resistere nel suo fortino partenopeo agli assalti dei Moloch d’ogni razza e provenienza, truppe renziane in primis.

All’Eur parte in sordina, ‘O sindaco, e bisbiglia: “Napoli non è Ginevra e non è diventata Berna: a Napoli ci sono un sacco di problemi e per questo ci ricandidiamo”. Pensavamo di vivere ormai a Stoccolma, e perciò, sorpresi proseguiamo ad ascoltare il nuovo generale Kuster: “Napoli è una città rimasta autonoma, non ha ceduto al compromesso morale, eppure non abbiamo giornali, non abbiamo lobby, non abbiamo i partiti forti, non abbiamo soldi. Siamo accerchiati da molto tempo”.

Ma il suo fresco mito è un altro comandante, Emiliano Zapata, capace di liberare i suoi messicani e anche lui “sindaco” in un città più piccina di Napoli, Anenecuilco, nello stato di Morelos. Nell’album dei ricordi Che Guevera, appena archiviata la cittadinanza onoraria al leader curdo Ocalan e prima ancora al capo palestinese Mahmud Abbas, de Magistris esulta: “Napoli è la città della pace, dei diritti, è una comunità di convivenza. Possiamo essere tutti abitanti di Napoli, diamo la cittadinanza anche ai figli degli immigrati, in modo che possano accedere all’edilizia popolare e agli asili nido”.

In attesa della città del Sole firmata Campanella, forse una sbirciatina allo stato sotto-indiano delle periferie, ma anche alle infrastrutture e ai servizi da ottavo mondo, non sarebbe poi male. Anche per ospitare con un minimo di decoro e dignità i benvenuti da altri mondi capovolti.

 

In apertura Antonio Bassolino e Luigi de Magistris. Qui sotto una copertina della Voce. Era il maggio del 1990.

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