Informazione e Giustizia ferite a morte nella triste patria delle Mafie

Che le dittature nel mondo stessero aumentando di numero, intensità e ferocia, protette quasi sempre da forme striscianti di oppressione dei media, qualcuno lo aveva capito già da tempo. Così come aveva ben chiaro che il nuovo Sistema di potere poteva essere alimentato, mantenuto e garantito solo se venivano messi a tacere gli organi d’informazione indipendenti. Quelli cioè che non si accodavano al mainstream per fare da sponda ai rappresentanti dei sistemi dittatoriali, bensì provavano a resistere con l’unica finalità di esercitare il potere di controllo previsto dalle Costituzioni in difesa dei cittadini e della democrazia.

Certo, avevano avuto la vista lunga su tutto questo i giuristi, gli avvocati e i giornalisti che nel 2008 decidevano di far nascere MLDI, l’organizzazione non governativa con sede a Londra che di anno in anno è diventata il principale baluardo per la difesa delle popolazioni dalla guerra aperta – con tanto di vittime – dichiarata dalle nuove oligarchie finanziarie ai giornalisti e in generale alla stampa libera, da un capo all’altro del pianeta.

L’attacco sferrato contro le libertà dei popoli è di quelli da terza guerra mondiale e vede in campo, dalla parte degli oppressori, i massimi livelli dell’informazione gestita dalle élites che controllano i governi. Uno scontro decisamente impari, perché la vera chiave di volta messa in campo per il controllo delle masse si chiama “diffamazione” e passa attraverso i sistemi giudiziari locali, anch’essi dotati di altolocati “terminali” interni, capaci di stroncare “per via legale” ogni sorta di informazione rivolta al grande pubblico che possa danneggiare o mettere in pericolo gli equilibri consolidati delle oligarchie dominanti.

La home page di MLDI www.mediadefence.org

La home page di MLDI www.mediadefence.org

MLDI, acronimo di Media Legal Defence Initiative, è oggi l’unica compagine capace di resistere di fronte ad un simile, fosco, eppure realistico scenario. Le macerie di ciò che resterà della libera informazione nel mondo rappresentano quel piccolo, ma fecondo seme di libertà del quale le future generazioni dovranno essere grate a MLDI, che per questo noi indichiamo come una preziosa “Arca di Noè”, capace forse di salvare beni dell’umanità in via di estinzione, quali la libertà di parola e d’informazione.

Per dare un’idea della portata connessa alle violente censure del Sistema dominante nel mondo, basta scorrere i casi più recenti nei quali l’intervento di MLDI è stato decisivo. A cominciare da Filip Medarski, l’avvocato macedone che solo nell’ultimo anno, grazie al sostegno di MLDI, ha potuto difendere 40 operatori dei media sottoposti ad autentiche “torture” giudiziarie per presunta diffamazione. Nel 2008 Filip, che lavorava come avvocato penalista indipendente, ha sentito dire che Media Legal Defence Initiative era alla ricerca di avvocati per fornire assistenza legale gratuita ai giornalisti citati in giudizio per diffamazione. Inizialmente il giovane avvocato si fece avanti attratto dalla popolarità che circondava quei casi. «Ma quando ho iniziato a lavorare su queste situazioni – spiega Medarski – ho iniziato a capire il vero significato della libertà di espressione come diritto fondamentale».

Altro rovente caso in Armenia, dove la giornalista e attivista dei diritti umani Zhanna Alexanyan è stata trascinata in giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Yerevan insieme ad altri componenti della sua organizzazione, con l’accusa di aver pubblicato notizie false che coinvolgevano esponenti degli apparati giudiziari locali. Una vicenda costellata di depistaggi ed omissioni, nella quale al fianco di Alexanyan è arrivato il direttore del servizio legale di MLDI Nani Jansen: una storia tanto delicata da essere tuttora pendente dinanzi alla Corte europea per i diritti dell’uomo.

 

NOT IN MY NAME

Scorrendo le classifiche di Reporters sans Frontieres sulla libertà di stampa, l’Italia la troviamo da anni sempre giù giù, nelle posizioni basse. Per il 2015 il nostro Paese è stato collocato alla posizione numero 73, dopo Malawi, Corea e Madagascar. Giudizi ottimistici: se dovessero basarsi, queste classifiche, sui castighi e sulle pene inflitte dalla ‘giustizia’ italiana ai giornalisti indipendenti, il belpaese sarebbe relegato all’ultimo posto. E’ infatti assai difficile, se non impossibile, trovare una nazione in cui la casta degli ‘intoccabili’ è costituita dai rappresentanti della stessa magistratura chiamata a giudicare sull’esercizio del potere democratico di controllo dei giornalisti in nome del popolo.

«Siamo l’unica categoria – affermano oggi alcuni alti magistrati italiani – che può e deve scandire la formula: ‘in nome del popolo italiano’». Di fronte alle tante sentenze liberticide pronunciate nei tribunali italiani, con speciale riferimento a quelle della giustizia civile, molti giornalisti ridotti al silenzio dovrebbero avere almeno la facoltà di innalzare un cartello, come succedeva ai tempi del conflitto in Iraq: Not in my name.

Giornalisti criminalizzati e trattati come boss per aver documentato il vero su esponenti corrotti degli assetti politici, giudiziari o economici, spesso operanti in connessione con poteri mafiosi e rimasti regolarmente impuniti. Professionisti dell’informazione ridotti al silenzio. Talvolta alla fame. Gente che non ha mai commesso reati, che ha esercitato la professione nel rispetto delle regole e della deontologia per contribuire alla difesa dei cittadini onesti, dando voce alle vittime di abusi, massacri, violenze, crimini coperti da pesanti veli di omertà dentro e fuori i Palazzi, anche quelli nei quali si dovrebbe amministrare la ‘Giustizia’.

Chi scrive queste note ha ormai solo la forza di assistere, se non altro dal punto di vista umano, le migliaia di famiglie devastate in questo Paese dalla assenza di giustizia. Madri e padri che hanno visto morire i propri ragazzi per inefficienza e noncuranza negli ospedali pubblici. Genitori di vittime innocenti della criminalità organizzata. Mogli di lavoratori che si sono tolti la vita perché giudizi sommari di sezioni fallimentari hanno fatto piazza pulita, in 5 minuti, di imprese costruite col sacrificio di intere generazioni, per poi consegnare ai soliti circuiti opulenti di ‘curatori’ e ‘periti’ il compito di spolpare fino all’osso con le loro parcelle le casse di quelle disgraziate imprese, gettando sul lastrico le famiglie dei lavoratori, radendo al suolo gli apparati industriali del Paese.

Questo è lo specchio deforme dell’Italia di oggi. Un paese mangiato fino alle fondamenta dalla corruzione ai più alti livelli, devastato dalle collusioni con i colletti bianchi della criminalità organizzata. Gli stessi manager dalle mani insanguinate che, attraverso i depositi miliardari nelle banche, condizionano le sorti della macchina giudiziaria, decidono sui destini dei popoli e continuano ogni giorno a seminare morte nelle nostre vite.

Resta qualcosa, in Italia, dopo uno scempio di così epocali proporzioni?

Alberto Spampinato

Alberto Spampinato

Restano uomini e donne di buona volontà che non hanno ancora perso la speranza. E continuano a coltivare il sogno che, se anche la nostra generazione ha fallito, non tutto è perduto per quelle che verranno.

Bisogna guardare dentro il cuore di questi uomini, scrutare nel vivo dei loro sogni, per comprendere qual è davvero quel germe vitale che anima iniziative come MLDI a Londra e come, a Roma, Ossigeno per l’informazione, il gruppo di giornalisti guidato da Alberto Spampinato che ha fatto della trincea per i diritti e per le libertà la sua principale, insostituibile ragione di vita.

Non è perciò certo un caso se a fine settembre 2015, dalla partnership fra MLDI e Ossigeno, è stato aperto anche in Italia lo Sportello (sportellolegaleossigeno@gmail.com) dove i giornalisti minacciati o già colpiti da azioni legali ingiuste possono trovare assistenza ma, soprattutto, ascolto, accoglienza, dignità. Non si tratta evidentemente solo di difendere chi fa informazione, ma di restituire all’Italia almeno una piccola parte dell’immenso mare di libertà costituzionali andate irrimediabilmente perdute. La sola presenza presso Ossigeno di questo Sportello, così necessario ed imprescindibile, fa comprendere in quale abisso sia precipitato, nel nostro Paese, non il diritto del giornalista di informare, ma quello, ancor più sacro, dei cittadini a conoscere cosa davvero si sta muovendo sulle loro vite, come stanno collegando i fili che muovono il potere, cosa dovranno aspettarsi, e se esiste ancora una possibilità, una sola, di esercitare la propria sovranità di componente del popolo italiano.

Gli avvocati Andrea Di Pietro e, a destra, Valerio Vartolo

Gli avvocati Andrea Di Pietro e, a destra, Valerio Vartolo

A coordinare lo Sportello di Ossigeno sono i due avvocati Andrea Di Pietro e Valerio Vartolo. Il primo, esperto di diritto dell’informazione, si è formato alla grande scuola di Oreste Flamminii Minuto, storico difensore dei giornalisti di testate come “l’Espresso”, “l’Unità”, “MicroMega”, “il Fatto Quotidiano”, che ha assistito in oltre 180 procedimenti penali per diffamazione.

Collaboratore di Articolo 21, oltre che di Ossigeno, anche l’avvocato Valerio Vartolo in tema di libertà di stampa non è uno che le manda a dire. Memorabile nel 2014, all’indomani dell’insediamento di Matteo Renzi, l’articolo rivolto da Vartolo al neo premier dalle stesse colonne di Articolo 21. L’incipit: «È bene che il nostro Presidente del Consiglio avvii, con la stessa rapidità con cui affronta la politica quotidiana, l’iter di una riforma del reato di diffamazione che, per esempio, escluda il carcere per i giornalisti e soprattutto che adotti, per le citazioni in sede civile, il modello statunitense nel quale chi chiede una somma a titolo di risarcimento ne paghi, poi, la metà in caso di rigetto della domanda». «Perché – aggiungeva l’avvocato – dice bene il Presidente Renzi, c’è una Italia fatta di gente che lavora quotidianamente senza risparmiarsi e di questa Italia fanno parte tanti giornalisti che, spesso a proprie spese, svolgono una delle funzioni cardine della Democrazia, con poche tutele ed andando incontro a rischi notevoli. Lo scrivo perché, occupandomi professionalmente della difesa dei giornalisti, conosco bene il prezzo della loro libertà: il prezzo di riunioni infinite a predisporre memorie, la spada di Damocle di una condanna sempre possibile e talvolta la tentazione di lasciar perdere, di tirarsi indietro perché non è nell’ordine naturale delle cose che per raccontare il potere si debba, sempre, finire nei Tribunali della Repubblica».

Ecco, non è nell’ordine naturale delle cose tutto questo. Non negli altri Paesi. E non certo nel resto dell’Europa. Ma in Italia sì. Perché l’Italia era e resta la triste patria delle mafie. Quelle che uccidono. Ma anche le altre, quelle che governano, legiferano. E qualche volta amministrano anche la ‘Giustizia’.


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Un commento su “Informazione e Giustizia ferite a morte nella triste patria delle Mafie”

  1. Steiner Einsam ha detto:

    Non per niente, appena nato mi voltai indietro e chiesi a mia madre “Ma dovevi proprio farmi nascere in i-taglia? Una nazione che non ho mai amato, della quale non mi sono mai sentito parte, della quale (anzi, delle alte sfere della quale) mi ha sempre dato la nausea quella retorica patriottarda tirata fuori a ogni piè sospinto.
    Perché? Perché è una nazione che potrebbe essere grande, seria, onesta, forte, rispettata florida, non ricca perché la troppa ricchezza guasta gli uomini. E non ha MAI voluto esserlo.
    L’unico che l’abbia amata, sinceramente, e che l’avrebbe voluta grande, pur con tutti i suoi imperdonabili sbagli, è stato un certo Mussolini… Piaccia o no, è così.

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