Renzi-Rouhani: do ut des

Le immagini televisive di un incontro definito a ragione storico hanno mostrato l’a tu per tu di papa Francesco con il presidente dell’Iran Rouhani, possibile grazie alla traduzione simultanea dell’interprete al suo seguito, con il capo rigorosamente coperto, come impone una delle più anacronistiche discriminanti del mondo arabo. Di qui la riflessione sull’eccesso di subordinazione italiana, interessata, all’ideologia dell’ospite, spinta fino a coprire pudicamente i nudi delle statue lungo il percorso nei musei capitolini. A prescindere dall’idiozia di questa autocensura viene da chiedersi se Rouhani non avrebbe dovuto ricambiare scoprendo la testa della sua traduttrice. La vicenda delle statue “mutilate” degli “attributi” ha sollevato un mare di polemiche di critici d’arte, partiti dell’opposizione, intellettuali e quotidiani stranieri. Ingraziarsi il numero uno iraniano era certamente nei piani del governo italiano e di Renzi, che ha in animo una visita al Paese con cui, per il momento, l’esito dell’incontro ha fruttato contratti per diciassette miliardi a imprese italiane nei settori dei servizi e delle infrastrutture, con possibilità di ulteriori interventi italiani richiesti per soddisfare la domanda iraniana di modernizzazione. A detta della delegazione guidata da Rouhani, l’Iran ripone motivata fiducia nell’efficienza e nell’affidabilità delle imprese italiane e su questo presupposto fa leva l’attenzione di Renzi per il potenziale privilegio che darebbe ossigeno alla nostra economia nei prossimi anni. Sullo sfondo della visita c’è poi un teorico protocollo d’intesa di collaborazione nella lotta al fondamentalismo islamico dell’Isis che Rouhani ha confermato nel dialogo “di pace” con il Pontefice. Difficile confrontare il clima dell’incontro con le non remote tensioni che hanno caratterizzato l’ostilità occidentale, Stati Uniti in testa, per l’impegno iraniano nel nucleare. Accettare che quel Paese diventi moderno e aperto ad alleanze finora improponibili, com’è del tutto evidente, è strategia dettata da opportunismo, motivata dalla prospettiva di allettanti vantaggi economici.

Nella foto Renzi con Rouhani

 

Esproprio di Stato

L’Europa ne inventa un’altra, in linea con la vocazione destrorsa che alligna in parte dell’Unione e scoinvolge anche i Paesi meno xenofobi: in Danimara, a guida di Rasmussen, leader della destra, ottiene il pieno, o quasi di voti il provvedimento di legge che autorizza a confiscare i beni dei migranti che chiedono asilo, con l’evidente obiettivo di fermare il flusso di profughi. In pratica il governo è autorizzato a sequestrare cifre superiori a milletrecento euro “a copertura delle spese di accoglienza”. In forma esplicita l’espropriazione si chiama rapina istituzionale. In extremis è stato sventato il sequestro delle fedi nuziali proposta dalla ministra dell’integrazione Inger Stojberg, nel massino dell’incoerenza con il suo ruolo istituzionale. La protesta per l’atto illiberale non si è fatta aspettare e le organizzazioni no profit hanno paragonato il provvedimento alla violenza nazista che espropriò gli ebrei dei loro beni.


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