SANGUE INFETTO, PROCESSO A RISCHIO. GLI AVVOCATI: VERGOGNA DI STATO

Colpo di scena al processo per lo scandalo del sangue infetto degli anni ’70 ed ’80, il più grave nella storia farmaceutica italiana: innanzi al tribunale penale di Napoli i difensori di Duilio Poggiolini e Guelfo Marcucci, i due imputati più noti, hanno sollevato un’eccezione di incapacità di partecipare al processo, sostenendo che vi sarebbero ostative ragioni di salute dei rispettivi clienti, di 85 ed 86 anni.

Lo rendono noto gli avvocati Stefano Bertone dello Studio Legale Ambrosio e Commodo (Torino) ed Ermanno Zancla dello Studio Legale Zancla (Palermo), legali delle persone offese e di numerose associazioni di familiari deceduti, tra cui Lagev, Comitato 210/92, Arlafe e Associazione di Varese, commentando l’esito dell’udienza di ieri.

Il Giudice Giovanna Ceppaluni ha rinviato al 9 luglio, quando verrà incaricato un consulente di ufficio che dovrà verificare se effettivamente l’ex direttore del servizio farmaceutico del Ministero della Sanità e il fondatore dell’impero farmaceutico produttore di emoderivati e vaccini siano impossibilitati a comprendere lo svolgimento del processo per omicidio colposo plurimo aggravato che si sta celebrando contro di loro.

L’avvocato Bertone non ha difficoltà a definire quello che è avvenuto ieri a Napoli la rappresentazione di una autentica “vergogna di stato”. Il legale torinese, impegnato da più di quindici anni nella battaglia per i diritti degli emofilici contagiati definisce “straordinariamente offensivo che la giustizia italiana sia stata così inefficiente da iniziare i processi per le vicende che hanno colpito la comunità emofilica soltanto quaranta anni dopo i fatti, quando oramai gli imputati hanno raggiunto età avanzate”.

Tra la fine degli anni ’70 ed il 1987 rimasero contagiati con il virus dell’HIV più di 650 emofilici italiani. Circa 500 di loro sono già morti mentre gli altri muoiono al ritmo di 5-6 l’anno. I pazienti, infatti, per controllare una malattia genetica del sangue che causa continue emorragie, avevano utilizzato farmaci salvavita derivati dal plasma di migliaia di donatori. Plasma che però si rivelò importato dall’estero da donatori mercenari. Altri 2500 emofilici, praticamente la quasi totalità in Italia, nello stesso periodo furono infettati con il virus che causa l’epatite C, con numerosi ulteriori decessi.

Il processo, apertosi a luglio dell’anno scorso, riguarda l’accusa di omicidio di un primo, ridotto numero degli emofilici deceduti: si tratta di nove morti legate all’assunzione di diversi farmaci, sia di produzione italiana – riconducibili alle aziende del c.d. Gruppo Marcucci -, che austriaca e statunitense.

L’altro legale storico delle famiglie, dei danneggiati e delle associazioni di familiari, L’avvocato Zancla, ricorda che “in tutti questi anni, dispiace moltissimo dirlo, è stato soltanto grazie alla caparbietà nostra e delle coraggiosissime associazioni di emofilici che difendiamo, se la Procura di Napoli nel 2013 si è finalmente, con un enorme ed imperdonabile ritardo, decisa a processare questi fatti ma – prosegue il legale palermitano – è evidente che ora siamo di fronte al rischio che il processo venga sospeso e stralciato per i due imputati eccellenti (proseguirà comunque nei confronti dei restanti imputati, e questa è una buona notizia comunque), qualora le perizie confermino che non sono in grado di percepire il significato dell’accusa e dell’eventuale condanna”.

Secondo Bertone per comprendere la gravità di quanto accaduto ieri mattina ed individuare colpe e responsabilità bisogna ripercorrere la lunghissima e travagliata storia dell’indagine «la prima iscrizione del reato avvenne nel 1993 a Napoli, ma il fascicolo transitò a Trento nel 1999. Dopo 3 anni il processo per epidemia si aprì solo contro contro Duilio Poggiolini e i responsabili delle industrie italiane, mentre vennero accantonati gli indagati stranieri a causa di problemi di rogatorie internazionali. Tuttavia le udienze furono pochissime: nel 2003 il fascicolo venne trasmesso nuovamente a Napoli per incompetenza territoriale, come richiesto dalle difese degli imputati. A quel punto erano già trascorsi quasi venti anni dai primi fatti di contagio, e tutti si aspettavano che Napoli prendesse seriamente la questione come aveva fatto la Procura di Trento».

Invece quanto successo dal 2003 in poi – prosegue il legale – “è costellato di imperdonabili superficialità e negligenze da parte della Procura di Napoli. Ed infatti l’ufficio napoletano, ricevuto il TIR carico del milione di pagine inviato da Trento, attese inspiegabilmente due interi anni sino al 2005 per poi inaspettatamente chiedere l’archiviazione nelle persone delle PM Bruno e Sanseverino. Noi ovviamente ci opponemmo ed altrettanto ovviamente il GUP De Simone respinse la richiesta, ordinando l’imputazione coatta, cioè ordinando ai PM di chiedere il rinvio a giudizio, nel frattempo, a causa della prescrizione, non più per epidemia ma per omicidio colposo plurimo. Qui – viene ricordato – altri ritardi: si dovettero infatti attendere altri due anni affinché nel 2008-2009 la procura formulasse la nuova richiesta di rinvio a giudizio. Ma l’udienza preliminare si concluse con la dichiarazione di nullità degli atti dichiarata dal GUP per un problema formale, e la restituzione degli atti ancora una volta all’ufficio del PM”.

Zancla e Bertone non riescono a dare una spiegazione all’incredibile serie di mancanze attribuibili alla Procura napoletana. E continuano: “dal 2009 sino a tutto il 2013 incessantemente continuammo a formulare istanze, solleciti, richieste al magistrato incaricato, il PM Pasquale Ucci. Rimanendo tutto immobile, incontrammo il Procuratore Capo dell’epoca, Giovandomenico Lepore, chiedendogli per quale motivo la più grande strage di pazienti italiani causata da farmaci giacesse ferma in fondo alla lista delle priorità dell’ufficio, con persone che continuavano a morire esattamente come i morti di amianto, decenni dopo le esposizioni al rischio. Nessun cambiamento, fino a che la questione venne portata all’attenzione del Procuratore aggiunto Fragliasso, il quale diede finalmente impulso all’ufficio, nel 2012”.

«E’ sorprendente – dichiara ancora Bertone – che siano stati necessari 27 anni per arrivare al primo vero dibattimento di un caso tutto sommato così chiaro secondo la prospettiva della responsabilità, e che ora tutto rischi di essere vanificato perché gli imputati sono forse troppo anziani e deboli per partecipare al processo. Cosa dovremo dire ai nostri assistiti? Che lo stato italiano ha accuratamente fatto in modo che fosse impossibile celebrare un processo così dirompente? Cosa dovremmo dire a coloro i quali hanno trascorso la loro intera vita, fin dall’infanzia, con l’HIV nel sangue, e che muoiono ad età drammaticamente inferiori a quelle attese nella popolazione normale? Che lo stato si è preso la loro salute, perché non è stato in grado di tutelarli, e che ora non restituisce nemmeno un briciolo di dignità celebrando un processo?».

Secondo Zancla non ci sono dubbi: «naturalmente dopo essere arrivati sino a qui non cederemo neanche un attimo: il 9 luglio nomineremo il nostro consulente di parte e parteciperemo personalmente alle operazioni di verifica della capacità processuale degli imputati. Se per Poggiolini e Marcucci si sospenderà il processo, formalizzeremo immediatamente una serie di denunce contro l’Italia per la negata giustizia ai familiari delle vittime».

 

 

Per approfondire leggi:

https://www.lavocedellevoci.it/?p=2063

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